"Consiglierebbe la carriera di scrittore?" mi chiese uno degli studenti.
"Stai cercando di dire amenità?" gli chiesi.
"No, no parlo seriamente. Consiglierebbe la carriera di scrittore?"
"È lo scrivere che sceglie te e non tu lo scrivere."

Charles Bukowski

sabato 27 febbraio 2010

Remavo contro il soffitto



Remavo contro il soffitto.
Le mie tasche di nailon ormai smollentate dall'andirivieni di mani mi ricordavano che era l'ora del caffè d'orzo. Erano le 7 in punto. Ora più ora meno. Guardai l'orologio, ma non feci in tempo. Preso in controtempo fu l'orologio a guardare me. E con quella sua aria da saputello ed i suoi baffi un pò naif mi chiese - Che mondo è? - Mi voltai ad osservare cosa mi chiedeva. Mi rigirai intorno vedendo solo scorrere muri imbiancati di manifesti. Manifesti incastonati in muri posticci. Muri che si muovevano veloci mescolando nel bianco i colori dei manifesti. E poi di colpo un uomo che sbucava da un muro in una stradina laterale. Prima un braccio. Volato via. Poi al turno successivo la sua ombra intera che si scioglieva fra i manifesti e poi sempre più chiaro, sempre più dettagliato sempre più vicino. L'ultimo giro si fermò sul suo naso aquilino. Barcollando sul suo volto alzai lo sguardo sui suoi occhialini da vista e ancor più dietro nei suoi occhi. Allontanai per un attimo il mio volto e vidi la sua bocca muoversi d'improvviso - Non sarà mica un'altro di quegli stolti da dar retta al suo orologio. Mi faccia la cortesia, lo faccia tacere. Ai miei tempi gli orologi non si prendevano tutte queste libertà. Mostri il polso. Faccia vedere chi comanda - Mi convinse. Mi rivoltai verso il mio orologio. Questa volta più veloce di prima e ancor prima che lui potesse aprir bocca gli sussurrai - Che ore sono? - Fu lui ora a girare vorticoso fra i suoi muri numerati senza saper darmi nessuna risposta. Il caffè d'orzo brulicava nella macchinetta. L'aroma si sprigionava lentamente, volando ombroso e condensandosi sul soffitto. Io li incredulo a testa in sù. La mia tazzina in mano.
Remavo contro il soffitto.

Bookmark and Share

lunedì 22 febbraio 2010

Braccia donate all'orticoltura

Quei giorni a Magenta iniziarono davvero a ritemprare l’animo fradicio di Mario. Dopo una settimana di vuoto vagare per le montagne, per la città, giornate di sguardi nel nulla, decise che era arrivato il momento di iniziare a fare qualcosa di più concreto, nell’attesa del goniometro. Franco viveva dalla coltivazione del suo orto e da piccoli lavoretti agricolo – artigianali che faceva qua e là. Ogni tanto poi scendeva in paese e vendeva qualche ortaggio in più, o qualche manufatto creato da lui. “Franco, se devo stare qui un po’, non mi va di essere un peso o di restare a vegetare tanto, non è cosi che troverò la mia strada, allora ho deciso, beh si se ti serve una mano per qualcosa…”. Franco lo squadrò divertito e urlò “Gioventù! A zappare!” e scoppio in una risata fragorosa. Poi soggiunse, “scherzi a parte se ti va, ti consiglio di provare l’orto, lì forse non troverai il goniometro, ma scoprirai tante altre cose utili”. “Ok Franco, dimmi da dove comincio” – “Anzitutto ricorda” disse Franco, “che l’orto non è un posto filosofico, è cruda realtà, molti si affiancano ad esso immaginandoselo come la purezza della natura, come il ritorno alle origini, contro il rimedio al logorio della vita moderna, ma appena si avvicinano ad esso scoprono con stupore che la zappa pesa. E il peso di quella zappa è esattamente uguale al peso della catena a cui è legata la terra del sedentario. Ricorda anche questo Mario, il nomade non coltiva, il nomade non ha proprietà privata, ma solo collettiva. È il sedentario che coltiva l’orto, che mette la terra al guinzaglio e la fa sgobbare, e il peso di quel guinzaglio è rappresentato da quella zappa, una catena a una cui estremità v’è la terra ed all’altra tu”. Mario lo seguì con attenzione annuendo spesso con la testa “D’accordo Franco cercherò di andarci con molta umiltà verso madre terra”. Franco allora gli dette una pacca sulla spalle e disse “Vieni ora ti presento il mio orto. Eccolo qui, vedi bisogna arare questa zona, rigirare tutto il terreno e farlo riposare un po’ prima di iniziare a coltivarlo, ce la fai?” – “Certo Franco, alla fine sono sempre un bel giovanotto” aggiunse Mario che iniziò il suo lavoro.
Bookmark and Share

domenica 14 febbraio 2010

Io no so' comunista cosi, SO' COMUNISTA COSIII!!!



Per parlarvi di ciò che vorrei potrei partire da molti ingressi, da varie angolature.  Una matassa complessa che può essere sciolta da qualsiasi punto per giungere allo stesso risultato. Visto dunque che oggi è San Valentino, partiremo da uno ahimè poco romantico. Per la precisione quello del 1984. Quel giorno venne approvato il famoso decreto di San Valentino, dall'allora presidente del Consiglio Bettino Craxi, quello che aldilà del fatto che rubasse, è diventato ora un grande statista. Ebbene, in quel famoso decreto si definì la fine della scala mobile (sistema di adeguamento del livello dei salari al livello dell'inflazione) e di qui la progressiva perdita di forza e di diritti da parte dei lavoratori. Difatti quello che doveva essere un governo socialista iniziò la distruzione sistematica delle conquiste operaie degli anni '60 e '70. Un processo che ovviamente avveniva a livello globale, per capire i quali è necessario utilizzare dei (vetusti e superati dalla storia) paradigmi marxisti, vale a dire la lotta di classe. Durante il dopoguerra, ed in particolare nel ventennio su citato, la forza raggiunta dal movimento operaio in Italia (grazie al PCI e ai sindacati) e dai rapporti di forza internazionali (vedi presenza dell'URSS) congiunto con una fase espansiva dell'economia italiana, ha fatto sì che il padronato italiano (e non solo) attraverso la sua classe dirigente concedesse molto, per evitare la vittoria delle forze comuniste. Da quel famoso San Valentino è iniziato un processo che senza badare ai colori dei governi succedutisi, ha portato a zero (cioè alla situazione attuale) le conquiste del mondo del lavoro. Si è partiti dalla scala mobile per arrivare al precariato, all'eliminazione effettiva dell'articolo 18 attraverso l'eliminazione totale della stabilizzazione. Proviamo ora per un attimo a cambiare visuale. Di ieri la notizia che a Milano è scoppiata l'ennesima rivolta urbana da parte di migranti. Dopo Rosarno e Secondigliano, ve ne saranno ancora altre. Dicevano i 99 Posse in una bellissima canzone "senti la tensione come sale, basta un niente, l'esplosione imminente". Sapevo già cosa avrei sentito oggi da parte dei ministri  neofascisti di questo governo: non si può continuare cosi, serve tolleranza zero nei confronti dei clandestini, categoria ormai generalistica per identificare il corpo estraneo, clandestino: un marchio verbale in tutto e per tutto speculare alla stella di david cucita sulle camice degli ebrei nel ventennio. Woody Allen una volta ha detto "In generale un'affermazione della destra è sempre una cattiva notizia, è sempre una faccenda pericolosa. Perché la destra dà risposte molto semplici, dirette a problemi enormi" ed è proprio questo il caso. La demagogia, il fascismo, il populismo, il razzismo, trovano la più profonda realizzazione nel dare risposte semplici a problemi complessi, spesso conoscendo la complessità di processi che essi stessi creano ad arte per poter gestire con la repressione il controllo della società. Provo a spiegarmi: i migranti sono persone che scappano da situazione di guerra, persecuzione, fame e sfruttamento in zone del mondo in cui per loro sfortuna è toccato nascere. Ma della guerra civile in Somalia di chi è la colpa? Chi finanzia gli eserciti che scorrazzano in quella zona? Che interessi economici vi sono dietro e di quali potenze? E degli afghani che fuggono dal loro paese distrutto da più di un ventennio di guerre? E degli Iracheni, vittime di due guerre, devastanti, di dieci anni di embargo, della frammentazione del loro tessuto sociale grazie alla guerra imperialista che intendeva portare democrazia ed ha portato solo guerra civile fra etnie. E dei curdi iracheni? E dei Palestinesi da più di 50 anni cacciati dalle loro terre, bombardati, uccisi, privati di ogni minima dignità, rinchiusi in un lager all'aria aperta chiamato Gaza e bombardati con le armi al fosforo dal "democratico" governo Israeliano protetto da Stati Uniti? Di chi è quindi la colpa se il 20% della popolazione mondiale si ruba l'80% delle risorse esistenti? Non è forse proprio quel 20% di mondo che per conservare la propria situazione di ricchezza e privilegio ha necessità di tenere il restante 80% in una situazione di fame e sfruttamento? Pensate davvero che l'occidente voglia lo sviluppo dell'Africa? Significherebbe un cataclisma mondiale, una carestia irrisolvibile in quanto servirebbero altri 5 mondi per poter sfruttare tutte le sue risorse. Basti vedere quanti grattacapi sta dando la Cina. Di chi è  quindi la colpa di questa enorme oscena e perversa assurdità se non del capitalismo, un sistema talmente perverso che può portare solo all'autodistruzione dell'uomo, in quanto ha come unico fine il profitto e non il benessere dell'uomo. Avviene quindi, che questi proletari mondiali affrontano viaggi della speranza dove in tantissimi ci lasciano la pelle e non solo. Dopo aver attraversato il deserto, i lager libici  (finanziati dal governo italiano) dopo aver affrontato l'assassino Mediterraneo, essi  sbarcano sulle nostre coste. Qui sono pronti ad un nuovo ricatto del sistema capitalistico- mafioso italiano, quello della clandestinità, una condizione utile al padronato parassitario italiano per poter ottenere schiavi a buon mercato. Per quanto infatti la Lega ed il governo voglia demagogicamente farsi portavoce della tolleranza zero e della cacciata di tutti gli extracomunitari, i loro interessi sono esattamente diversi. I padroni del Nord ed i mafiosi del Sud non vogliono cacciarli, perché sanno che cosi l'Italia crollerebbe, il loro obbiettivo è quello di avere forza lavoro a bassissimo costo e facilmente ricattabile. Questo ha un duplice risultato: da una parte evidenti risparmi (un immigrato lo sfrutti quando ti serve e lo  rendi clandestino buttandolo in un lager (CIE) quando non serve più) in quanto il permesso di soggiorno è legato al lavoro. Il secondo risultato è quello di creare una concorrenza fra lavoratori italiani, che sono costretti ad accettare condizioni contrattuali più basse (minori stipendi e più precariato) e di scatenare cosi guerre fra poveri: italiani contro extracomunitari. Le polveriere delle periferie degradate dove i migranti ed i ceti più bassi della popolazione italiana sono tenuti assieme in una situazione di emarginazione ed isolamento servono appunto a far scoppiare rivolte utili ad aumentare la forza repressiva dello Stato che può cosi controllare ancor meglio la popolazione nell'interesse del grande capitale. Ecco perché gli operai del nord votano Lega ed i braccianti e operai del sud PDL, ecco quindi che quella di Rosarno non assume più la valenza di devastazione, ma di lotta proletaria contro un potere capitalista - mafioso che governa il sud. I tagli ai servizi sociali, all'istruzione, non sono altro che la riprova di questo. Si detassano i grandi capitali e si tolgono soldi attraverso l'abolizione di servizi sociali alla povera gente.
Potrei continuare all'infinito. La realtà vige in questo, la complessità di un sistema governato in maniera fascista, demagogica, populista. Ma il problema sono i comunisti, usati ora come pericolo ora come scherno, proprio nel momento in cui questa crisi riporta in primo piano le ragioni di Marx. Si parla d'altro, si parla di Berlusconi e dei suoi processi, si parla dei bamboccioni (piuttosto che dei precari), si parla del legittimo impedimento, delle intercettazioni, del maestro unico, della tolleranza zero, del permesso di soggiorno a punti, della mignottocrazia. Si parla di niente, per dividere cosi la classe dei proletari moderni, per dividere gli interessi unici che avrebbero i più poveri, gli ultimi con i penultimi, gli operai italiani con quelli somali, egiziani, palestinesi, iracheni ecc. Si parla di niente e si cade nel baratro.
Oggi più che mai è vero: Socialismo o Barbarie
Bookmark and Share

domenica 7 febbraio 2010

La bella addormentata nel box




Al quinto piano del palazzo presidenziale Tapioca, abitava ormai da due anni Mauro Battiluca, ex tennista in pensione. A dire il vero non è che fosse davvero un palazzo presidenziale, una volta quello stabile era un Hotel: Hotel Tapioca per l'appunto, soprannominato palazzo presidenziale perché pare che l'allora presidente della repubblica Mauro Mariamario vi andasse spesso a passare serate intime con qualche segretaria presidenziale e a volerla dire tutta Mauro Battiluca non era neanche un ex tennista, o meglio ogni tanto faceva qualche partita, ma lui per lo più era lo sparring partner di diversi tennisti famosi, ma veniva chiamato da tutti, il tennista. Mauro, dopo essersi messo in pausa s'era lasciato andare. Seguiva un regolare ritmo di alcolismo che gli permetteva di racimolare decine di bottiglie di whisky al mese e si era dato ormai da tempo all'arte del tabacco non convenzionale, come amava definirlo lui, vale a dire sigari e pipe. Quella sera Mauro aspettava visite. Si chiamava Flavia, una di quelle belle signore che l'età non più fresca rendeva ancora più appetibili ed intriganti. Flavia aveva una figlia ventenne, che ora studiava fuori. Cosi lei si dedicava fra piscine, massaggi shiatsu, corsi di cucina e yoga alla cura di sé. In tutti i sensi a dire il vero. L'aveva conosciuta Flavia nella sala d'aspetto di un chirurgo, lui aveva una maledetta unghia incarnita che gli dava la dannazione e lei, beh guarda caso lavorava lì. Gli entrò subito in testa Flavia, al primo sguardo. Capelli biondo tinti, tailleur nero con scolatura media a lasciar intravedere ciò che l'età ha benevolmente risparmiato al lento sfaldarsi del corpo. Sotto la scrivania collant neri che lasciavano in evidenza i suoi polpacci sodi. Ora l'aspettava lì, al quinto piano del palazzo presidenziale Tapioca, mentre si scolava una birra scura in lattina. Buttò giù tutto d'un sorso, schiacciò la lattina fra le mani e proprio allora squillò il telefono. Era lei. Come d'accordo aveva parcheggiato nel box del palazzo presidenziale ma sfortuna volle che appena uscita dalla macchina le fossero cadute le chiavi in una grata, lasciando cosi l'auto aperta. Mauro scese giù a cercare di recuperare le sue chiavi con un lungo ferro ed una calamita. Appena giù la vide disperata. Era da urlo. Era pazza. Le si avvicinò, la salutò e si mise subito all'opera per recuperare le chiavi. Porca miseria, era più difficile di quel che sembrava, le chiavi erano incastrate li in basso e non c'era verso di recuperarle. Dopo vari tentativi s'alzo sconfortato e disse "mi spiace credo che dovrai aspettare domattina per le chiavi". Probabilmente fu l'effetto congiunto di birra scura ed improvviso abbassamento della pressione dovuto al rapido sollevarsi che gli annebbiò per un attimo la vista. L'abbracciò possente e la baciò. Lei si lasciò prendere divertita e caddero tutti e due in auto. Lo fecero lì e fu meraviglioso. Si lasciarono andare, stettero li per qualche oretta ad immaginare delle stelle che da lì sotto non potevano vedere. Poi lo rifecero. Ogni tanto il vecchio Mauro Battiluca, ex tennista o per lo meno cosi lo chiamavano gli altri, sapeva il fatto suo. Si addormentarono. avvinghiati in quel box. La mattina dopo lui s'alzò silenzioso, tornò in appartamento, chiamò un ferramenta e preparò un caffè. Torno giù e la vide: la bella addormentata nel box.
Bookmark and Share