"Consiglierebbe la carriera di scrittore?" mi chiese uno degli studenti.
"Stai cercando di dire amenità?" gli chiesi.
"No, no parlo seriamente. Consiglierebbe la carriera di scrittore?"
"È lo scrivere che sceglie te e non tu lo scrivere."

Charles Bukowski

martedì 30 marzo 2010

Lo sguardo dei piedi


Le dita dei piedi appiccicate. Srotolo i miei calzini appassiti. Osservo dritto difronte a me. La parete bianca che osserva muta come una guardia svizzera storie e immagini svolgersi davanti lei. Alcune chiazze nere lì su nei bordi indicano la sua età non più giovane. Ricade il capo ai miei piedi che ora respirano finalmente la luce mentre si stiracchiano di fronte allo spazio infinito. I miei cammini si fanno sempre più lunghi. Le mie mete sempre più remote. Ora qui nella mia camera d'infanzia osservo stupita la mia valigia anch'essa stremata. Anch'essa esperta di mille viaggi, d'infinite lingue, di eccessivi odori. Sguardi cosparsi di secoli che interrogano il mio mondo. Architetture lontane, geometrie nuove, visioni alterate. I sussulti di mille posti rimbombano nella mia testa senza più meta, senza nessuna patria. Attraversata dal frastuono dei secoli che si rincorrono, dei popoli che si inseguono, nella danza folle della rivoluzione terrestre. Sono due anni che non tornavano. Due anni lontana. Due anni fuori. Due anni camminando qui e li. Due anni fuggendo, scappando alla ricerca di qualcosa. Forse di occhi. Ore 12.00 mi rialzo di scatto dal mio letto d'infanzia, mentre attorno a me sembra non essere cambiato niente, di due, quattro o dieci anni. Sono tornata a casa, svegliata da una notte di viaggi. Esco, cammino piano attorniata dal sole e dalla freschezza primaverile, dai volti di questa terra, dai saluti degli stessi, di coloro che m'hanno vista crescere, il mondo qui era fermo, fermo ero il fruttivendolo sotto casa, fermo il giornalaio, ferma la piazza con gli anziani signori seduti alle panchine, ferma l'associazione combattenti, fermo il bar del corso, fermo il mercato infrasettimanale, fermi i ragazzi che prendono il treno per la scuola. Mi rincuora ritrovare tutto al suo posto, mi rassicura il poter salvare qualcosa, il potermi ritrovare nei momenti di sconforto qui nel mio grembo materno. Nelle rughe spigolose dei vecchi contadini. In quella strada dissestata. Attraverso il centro storico e lo guardo estasiata, ammiro forse per la prima volta le magnifiche volte, i stupendi palazzi, le calde chianche, i viottoli medioevali, i muretti a secco della campagna mi riempiono l'anima, le enormi distese di terra, i fichi d'india, gli ulivi, le margherite in fiore. E l'adagio cammino in biciclette fra le strade sterrate. Ecco il mio viaggio, ecco la mia meta, ecco da cosa fuggivo ecco cosa cercavo, ecco i miei occhi, i miei nuovi occhi. La mia terra nuova. Solo ora posso apprezzarla. Solo ora estranea ma mia ti amo. Ti riconosco.
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lunedì 22 marzo 2010

Il mio primo noncompleanno

Avete presente quel link giu in basso a destra con su scritto bussola creazioni? Be se provate a cliccarci su finirete in un blog fantasmagorico che si occupa di creazioni fatte a mano dalla mia novia: borsette, spille, collane, arte...arte. Beh fatto sta che la suddetta mia novia tempo fa mi ha ingaggiato per un concorso fotografico promosso da DaWanda dal titolo "Happy Unbirthday". Be senza farvela tanto lunga abbiamo partecipato e guarda un pò abbiamo vinto. Ecco a voi l'opera.


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lunedì 15 marzo 2010

Vuoto Arrendere


Meccanica illusione di farcela. Pioggia disordinata che accartoccia l'asfalto lucido della metropoli. Sui pannelli titanici il volto sereno del Presidente Rimossi rassicurava i cammiantori in valigia, le donne ingrossate con buste di plastica, gli occhialuti ragazzi in pullover. Cartoline da una città sotto vuoto. Voci bisbigliate sul selciato ruvido dei pneumatici aderenti. Odore di lacca, nella metropolitana conforme di libertà. Un'anomia collettiva, un formicolio lieve sotterraneo, mormorio di cibi da portare a casa, fidanzate da presentare ai genitori, dorghe da consumare al caldo di un monolocale, zoccole da consumare di sperma, bambini da portare a letto. Il lento sfaldarsi del corpo. Correvo per raggiungere l'ultimo bus per il mio loculo. Per seppellirmi l'ultima sera. Per depositare la macchina satura della catena di montaggio. Per attaccarci il caricabatterie. Tutto viaggia nella modernità conforme di corpi nudi a prezzi stracciati. Un'idilliaca illusione di potercela fare. Di assaltare il cielo d'inverno e colorarlo di sussulti d'animo. Prima di inciampare sul terreno del distacco. E il naufragar m'è dolce. Il vuoto arrendere.
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