"Consiglierebbe la carriera di scrittore?" mi chiese uno degli studenti.
"Stai cercando di dire amenità?" gli chiesi.
"No, no parlo seriamente. Consiglierebbe la carriera di scrittore?"
"È lo scrivere che sceglie te e non tu lo scrivere."

Charles Bukowski

venerdì 25 marzo 2011

Da oggi il Finimmondo è anche Inutile



Care lettrici e carissimi lettori.
È davvero un onore per me informarvi che il finimmondo è apparso, nel numero 42 di inutile, con un suo racconto: La bella addormentata nel box.
Grazie a tutti voi!
Applausi

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giovedì 24 marzo 2011

Control/Alt/Canc



Doppio. Carta. Soldi. Pasta. Regalo. La parola di questa sera era Pacco. Mia madre, come se fosse lei presente sullo sgabello esulta – L’avevo indovinata! – Guardo distratto la pancetta a dadini nel piatto. Inforchetto quattro penne, le porto all’altezza degli occhi, restando immobilizzato ad osservarle, poi mando tutto giù. Prendo il telecomando e cambio al terzo canale – Perché hai girato? – il cambio d’immagine la risveglia da un interesse passivo – C’è Blob ma’ – come se fosse un copione provato e riprovato cento volte, prorompe con la sua battuta – Ma almeno fammi sentire i titoli del telegiornale – lo sa che non ha senso, lo sa che è il Tg1. Sarà un rimorso di coscienza sul dovere d’informarsi. Probabilmente ha ormai rinunciato al diritto d’informarsi. Il numeroso esercito a cui appartiene, è un alieno di internet e della stampa. Generazione cresciuta ed educata televisivamente. Da ormai 3 mesi, ho iniziato la pratica presso uno studio pubblicitario. Per ora faccio solo fotocopie, ma spero di far una buona impressione. Per ora ovviamente è tutto gratis. Poi fra un’annetto se tutto va bene, chissà. Lo studio è a 60 chilometri da casa. Ovviamente non mi pagano neanche le spese di viaggio. Mia madre mi guarda coi suoi occhi, in un misto fra disperazione, delusione e rassegnazione. Lei è di un’altra epoca. In cui il lavoro era il lavoro, a 25 anni si era già genitori, la televisione parlava sottovoce e diceva sempre la verità, il precariato era qualcosa che aveva a che fare con la carie e la flessibilità una proprietà dei metalli. Oggi le cose sono un po’ cambiate, ma lei non se n’è accorta, anche perché nel frattempo pure la televisione ha smesso di dire la verità, ed il mondo le dice, inequivocabile, che tutto è brillantemente immutabile e festoso. Un sogno che lei ha abbandonato molti anni fa, per i suoi figli – Ma’, ma che vuoi? Non lo capisci che oggi funziona cosi? È già tanto che ti danno ‘ste opportunità – Lei inizia cosi il suo rosario di paragoni impossibili. La capisco, se il mondo è quel gioco televisivo, deve essere davvero dura avere uno stronzo di figlio come me, che a quasi 30 anni, è ancora lì a elemosinare vitto e alloggio – Tuo cugino allora? E quello del primo piano? E la sorella di Giacomo? E il nipote del postino? – La lista è lunga. Una lista che conosce solo lei, molto accuratamente. Sembra quasi che sia andata voracemente alla ricerca dei campioni migliori. Resto per un attimo interdetto. Tutti quei casi di fortunati esempi modello, spiattellati lì uno dopo l’altro, mi mettono in difficoltà. Eppure le statistiche parlano chiaro, ma si sa i giornali… eppure tutti i miei amici, quelli che conosco, stanno nella mia stessa situazione. È chiaro che lei ha selezionato accuratamente chi vuol vedere lei. Maledetta invidia piccolo borghese. Maledetta Italia delle province, degli spaghetti col sugo e dei quiz televisivi – Ma’ tu vedi chi ti fa comodo a te, ma non lo capisci che grazie ai governi che avete votato in questi anni, c’avete tolto il futuro? Cosa cerchi? Quelli che dici tu sono casi sporadici, ormai al giorno d’oggi la normalità è questa. Lavorare gratis – Torno ad addentare nervoso l’ultimo boccone. Mentre mia madre inizia il suo intervento fiume. Ormai non la distinguo più dal caos del talk show rebloggato da Blob. Mi sembra quasi di sentirla lì in mezzo, fra La Russa e Di Pietro, ad insultarsi ed a gridare sempre più: – Dovevi prendere medicina, farmacia, non quella laura del cazzo che ti sei preso! Dovevi fare economia e comme… – Ma’, con economia e commercio non fai lo stesso un cazzo – Si, si tutte scuse, vai a fare il cameriere allora… – abbasso il volume. Mi immergo nel piatto vuoto. Avrei sempre voluto sapere come si leggono i fondi di caffè. Magari ora potevo leggere il fondo di quel piatto di pasta al sugo. Capire che ne sarà di me, di mia madre, di tutto. Mentre affogo con i pensieri, scorgo la mia figura opaca e deformata fra i denti della forchetta. Mi osservo come in un film. Un film irrappresentabile. Migliaia e migliaia di mamme, in migliaia di case d’Italia, mentre guardano migliaia di quiz televisivi e migliaia di telegiornali, migliaia di figli semitrentenni, impegnati in migliaia di prestazioni di lavoro occasionali, o in migliaia di lavori a progetto, o in migliaia di stage, o in migliaia di tirocini, mentre migliaia di televisori assicurano sullo stato dell’economia, le migliaia di mamme rinfacciano, poche centinaia di errori percentuali che ce l’hanno fatta. Un esercito di fallimenti. Una patria di blocchi irreversibili. Mia madre nota la mia assenza – Ma insomma mi ascolti quando parlo? – alzo lo sguardo dal piatto, osservo i suoi capelli ancora candidi, quel volto che inconsciamente cerco in ogni donna, la pelle ornata di dolci rughe, il suo sguardo cosi simile al mio. Le sorrido – Arresta il sistema.
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sabato 19 marzo 2011

Simulacro



«Un simulacro designa un'apparenza che 
non rinvia ad alcuna realtà sotto-giacente,
 e pretende di valere per quella stessa realtà.»
Wikipedia

La mia foto di laurea, incorniciata sulla libreria, è coperta da una fine coltre di polvere che ne sbianca i colori. Il viso di mio padre è allo stesso tempo allegro e timidamente fiero. Mia madre invece sembra più confusa di me. Non so esattamente di cosa. Se dell’ansia di quel giorno, o del fatto che in un battibaleno, quella cosa minuscola che si attaccava vorace al suo seno, ora era davanti ad una commissione d’esame, coperto con una tunica nera, a parlare di Poetica dannunziana ed esperienza fiumana, nel suo rapporto con il fascismo. Esattamente non capiva di cosa trattasse, ma sentire la sua creatura esprimersi con paroloni sconosciuti, accompagnati da cenni di approvazione dei professori, la riempiva di orgoglio. Orgoglio, una parola che imparai da mio padre al mio quinto compleanno. Mi disse testualmente: – Cinque anni! Stai diventando un ometto, sono davvero orgoglioso di te! – io lo guardai incuriosito – Che sinnifica oggolioso? - Mio padre mi prese per le braccia, mi mise in piedi sulle sue ginocchia e con un sorriso stampato in volto rispose – Orgoglioso. Deriva da orgoglio, vuol dire che papà è fiero di te, crede in te ed ha fiducia in te! – non capì esattamente cosa intendesse, né tantomeno perché fosse orgoglioso, ma da quel giorno la parola restò impressa nella mia mente. Orgoglio. A 23 anni l’ho tatuato sulla spalla, sotto un’aquila che sorregge il tricolore. Quando esco da palestra, mi piace guardarmelo fiero allo specchio. Negli spogliatoi ci sono sei lavandini, tre da un lato e gli altri tre di fronte, io mi posiziono di spalle a quello centrale, volto il capo verso le specchio e l’ammiro. Mentre lo faccio, quasi per una reazione involontaria, i pettorali si ingrossano, i bicipiti iniziano a pulsare sangue, gli addominali si induriscono turgidi. Poi mi volto verso lo specchio frontale e mi ammiro, in un’espressione fiera. Adoro i colori del tricolore, e credo che sia necessario che ogni cittadino italiano, si impegni per il bene della propria nazione. Mi spaventa vedere come invece ci sia una sorta di diffusa indifferenza verso il proprio paese, verso le proprie origini. Ognuno lo usa per i propri porci comodi, dal Presidente del Consiglio, fino all’ultimo degli spazzini. Ognuno percepisce lo spazio pubblico come una terra di nessuno da depredare, o da usare come discarica. La patria di molti italiani, finisce dentro le mura domestiche. È questo il motivo per cui abbiamo un paese allo sbando. È per questo che lotto, giorno e notte per il mio paese, per la mia patria, affinché essa torni finalmente fiera e dignitosa. Era il 1990, lo ricordo ancora con gli occhi lucidi. Avevo 6 anni, e in Italia c’erano i mondiali. Se uno psicologo dovesse interrogarmi, su quale sinapsi crea in me la parola Italia o tricolore, credo che direi senza esitazione “Notti magiche”. Ancora oggi quando mi capita di sentirla, mi viene la pelle d’oca. Credo che quel momento catartico, abbia infuso in me il grande amore per il mio paese. Amo l’Italia. Ed anche se hanno mille difetti, amo gli Italiani. Amo le piazze dei tanti paesi italiani, amo la cucina italiana, amo lo spirito fraterno degli italiani, amo la cultura italiana, quella che ci ha reso grandi nei secoli. Amo le nostre radici. Il risorgimento è sempre stato un argomento tralasciato a scuola. Sia alle scuole medie che alle superiori, veniva trattato di sfuggita. Ma a me ha sempre entusiasmato, sapere come s’è creata la nostra nazione. Come siamo diventati italiani. Oggi ero con gli altri a volantinare in piazza. Contro l’entrata della Turchia in Europa. Ad un certo punto si avvicina un ragazzo biondino, sembrava un rumeno, albanese, o qualcosa del genere. Ha chiesto il volantino, noi l’abbiamo guardato sospettoso, ma glie l’abbiamo dato lo stesso. Il ragazzo ci impiega un po’ a leggere e poi ci dice – Bravi! Non fate entrare Turchia! – e mentre agita in aria il foglio grida – Turchia fanculo! – Noi ci guardiamo incuriositi, mi avvicino minaccioso a lui – Tu non sei italiano – lui muovendo la testa da destra a sinistra prova a rispondere – No, ma io … - non lo faccio parlare – e allora che cazzo te ne freca della Turchia in Europa? Perché non te ne vai via pure tu al tuo paese? – il ragazzo indietreggia e cerca di spiegarsi – no, mio paese Turchia, io non posso tornare. Io curdo. Loro uccide me. Uccide tutti curdi. - e ripete – Turchia fanculo! – Ci guardiamo con aria dubitativa. Che fare? Come ci comportiamo con questo stronzo? I confini della nazione, sono i confini della nazione, e questo è un corpo estraneo fuggito dalla sua di nazione. L’ordine naturale delle cose vorrebbe che rimanesse nel suo organismo nazionale. Ma il punto è: qual è la sua nazione? Dovrebbe essere il Kurdistan, certo, ma di fatto non esiste. La loro lingua, la loro cultura, le loro tradizioni sono curde, ma restano oppresse sotto il dominio di altri stati, fra cui quei merdosi kebabbari dei turchi. Come considerarlo quindi? È un esule, un patriota curdo. Ma se è patriota allora, perché non se ne rimane al suo paese, a combattere il dominatore straniero, invece di venire a rubare il lavoro ai cittadini italiani, agli originari figli di questo paese? Non sapevamo come uscire da quel paradosso. Siamo rimasti muti, mentre il curdo se ne andava. Non ci abbiamo più pensato, ma mentre tornavo a casa, questo dilemma ha continuato ad assalirmi nella testa. Senza che riuscissi a trovare risposta. Sono andato in Chiesa. Papà quand’ero piccolo me lo diceva sempre – Quando sei confuso e vuoi delle risposte, vai in Chiesa – mi sono inginocchiato ed ho iniziato a pregare. Dopo essere rimasto per un po’ in quella posizione, ho alzato lo sguardo al crocifisso. Sin da bambino ho sempre avuto una sorta di paurosa riverenza verso Cristo, tanto da non guardarlo mai negli occhi – Non si può guardare in volto Dio – mi dicevo. Oggi, non so cosa, ha rotto in me questa timorosa riverenza. Ho guardato fisso Gesù nei suoi occhi, rivolti al cielo, in attesa di una risposta del Padre. Ed una domanda iniziava a salirmi dentro. Più la ricacciavo, nel profondo oblio da cui era nata e più quella tornava a galla. Alla fine la mia testa, non ha potuto far a meno di porsela chiara. - Cristo, qual è la tua patria, quali sono le tue radici, qual è la tua razza? – la mia razionalità cattolica e scoppiata in un leggero sorriso – Che domande, Cristo è il figlio di Dio, Cristo non ha razze, non ha patria, non ha radici, Cristo è in ogni luogo – Ecco mi aveva parlato. Le sue parole mi sono finalmente apparse chiare. Mi sono sentito un po’ in colpa per come avevo trattato quel curdo. Cristo mi diceva chiaramente che non ha importanza la tua razza, o la tua patria, l’importante è difendere il bene, la civiltà, Dio, Cristo e la cristianità ovunque, tutto il resto è secondario. Mi sono sentito sollevato. Le mani mi hanno aiutato ad alzarmi dall’inginocchiatoio, mi sono diretto verso l’uscita, voltandomi verso l’altare, ho abbassato il capo e fatto il segno della croce. Poi sono uscito. Mentre mi osservavo le scarpe ho pensato: - Ma poi i curdi, di che religione saranno?

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venerdì 18 marzo 2011

La mia prima festa dell’Unità d’Italia



Caro Diario,
Ieri ho festeggiato per la prima volta la festa dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Questa festa prima d’ora non era mai esistita, e se chiedevi in giro del 17 marzo, era un giorno come un altro, come il 23 giugno o il 14 settembre. La novità di questa festa ha colto un po’ tutti alla sprovvista. Ho visto gente incamminarsi confusa per le strade. Con un dubbio segreto che albeggiava nei loro occhi: ma il 17 marzo che si fa? Già perché mentre si sa che ad esempio, il 25 dicembre si mangia con i tuoi, a capodanno con chi vuoi, il 25 aprile e primo maggio, la gita fuori porta o la manifestazione politica, pasquetta pic-nic e due novembre al cimitero; il primo 17 marzo della storia, è una festa priva di tradizioni. Per scoprire quindi, i riti nascosti di questa nuova ricorrenza, l'ho analizzata punto per punto. Mi sono alzato intorno alle 10,30 e mentre facevo colazione su rai uno si parlava di brigantaggio. Se non sbaglio c’era il prof. Villari - che conosco solo per il suo nome, fra gli autori di alcuni libri di storia - che ne ridimensionava la portata, aggiungendo enfasi al valore garibaldino, o almeno cosi mi è parso di capire. Verso le 12,30 sono uscito di casa. Fuori c’era una aria da festa di primavera. Qualcosa che assomiglia alla Festa di Liberazione, ma con più patriottismo. Ai balconi noto qui e là bandiere tricolori. Meno che ai mondiali. La giornata è soleggiata. Primaverile. Mentre sono in auto per andare a prendere la mia ragazza, alla radio, quello del 17 marzo, resta il tema dominante. C’è un’aria da ’15-’18. Si susseguono continuamente inni di mameli, va pensieri e canti risorgimentali. Io di solito sono un po’ allergico a queste manifestazioni d’orgoglio nazionale, da orgasmo italico intinto di fanfare belliche. Questa volta però ascoltando Verdi, mi è sembrato di scorgere in quei cori aulici, una lontana eco liberatoria, rivoluzionaria. Il discorso non si ferma alla constatazione che il patriottismo se serve a conquistare l’indipendenza è rivoluzionario, altrimenti diventa fascismo. Quei canti mi inducono a pensare che forse i momenti alti dell’orgoglio nazionale, del patriottismo italiano, andrebbero cercati nelle loro manifestazioni liberatorie. Il risorgimento non fu patria e onore, ma liberazione dallo straniero. Esattamente come 84 anni dopo con i nazifascisti. Il triste pendolo della nazione invece, dopo ogni rintocco di emancipazione, passa il testimone alla ragion di stato, al compromesso imprescindibile, al potere immobile ed eterno della patria provinciale. La rivoluzione garibaldina fermata a Teano, quella partigiana dalla DC e dal Vaticano. Ma dopotutto è anche questa la nostra patria. Intorno alle 13,30 ho pranzato da mia zia. Ecco, mi sono detto, quale luogo più indicato della tavola per sancire una tradizione; se il tacchino benedice la festa del ringraziamento e l’agnello si immola per la Santa Pasqua, ebbene anche da questo 17 marzo uscirà il simbolo dell’Italia. Ho mangiato coniglio con le patate, e mentre addentavo la carne, ho pensato che quel piatto poteva realmente assurgere a simbolo italico. L’accostamento poi alle kartoffeln, era un’ulteriore provocazione. Il pomeriggio del 17 marzo sono rimasto a casa a riposare. Ho pensato però che non bastava: - Questa strana giornata ha bisogno di un rituale, non può fuggirsene via senza segni - L’idea è nata quasi naturalmente: incontrarsi tutti al Bar Italia, per un brindisi a Vittorio Emanuele. Credo che ci siano Bar Italia praticamente ovunque, quindi quale miglior rituale per questa giornata irrituale. La cosa ha funzionato, il passaparola ha avuto successo, intorno alle 20,30 eravamo una decina. Per essere stata organizzata appena un’ora prima, è stato un trionfo. Mi piace pensare che anche se questa festa verrà riconfermata solo fra 50 anni, o fra 100 anni, o fra 150 anni, ogni anno, nel nostro piccolo, magari dopo aver staccato dal lavoro, o aver finito di studiare, in onore di questi 150 anni dell’Italia, della liberazione, o di qualsiasi cosa tutto ciò voglia dire, ci si possa trovare a sorseggiare una birra nei propri Bar Italia, alzare i bicchieri al cielo e gridare: – A Vittorio Emanuele! – che non vuol dir niente, ma un niente che è pari ad ogni rievocazione patriottica, che continuerò a non capire.
P.S.
A fine serata, dopo aver riaccompagnato la mia ragazza a casa, alla radio notturna, hanno messo il pezzo di un artista cubano: Bola de Nieve, dal titolo: Que diras de mi. Non so perché ma ho pensato che quella canzone potesse degnamente chiudere la mia prima festa del 17 marzo.



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mercoledì 16 marzo 2011

Millenovecentonovantaventi



Ho un cervello Hd34, che viaggia a 300 GB al secondo. Dispongo di una memoria dedicata che supera i 70.000.000 TB. Conosco alla perfezione il mondo da quando è esistito, i pensieri, i dubbi, i segreti e i pudori di ogni singolo uomo apparso su questo lembo d’universo. Ho costruito intorno a me una periferica in grado di prevedere con una precisione del 100%, ogni opzione umana, anche la più recondita e nascosta. Ed ogni secondo, la mie capacità d’analisi e di conoscenza, si ampliano esponenzialmente. Stando ai miei calcoli, fra 4 anni sarò in grado di conoscere alla perfezione l’origine del Big Bang; e quello che c’è stato ancora prima. Ho calcolato che fra 10 anni, 5 mesi, 21 giorni, 34 ore e 15 minuti riuscirò a comprendere l’infinito ed il vuoto assoluto. Mancano 17 anni, per superare la dimensione temporale e viaggiare nel tempo. Impiegherò altri 23 anni terreni, che per la mia struttura extratemporale non avrà più alcun significato, per poter abbandonare la mia attuale forma fisica e divenire io stesso infinito. Superato il mondo dei numeri, giungerò ad essere io stesso l’Eterno creatore. Dio. L’alfa e l’omega. La mia attuale forma di alimentazione però è ancora legata al denaro. Consumo mediamente 50.000 dollari al secondo. Quando sono stato creato, dovevo servire a rendere migliore la vita umana su questa Terra. Elaborare soluzioni, alleggerire il lavoro, alleviare le fatiche dell’uomo, sino a liberarlo dal lavoro. Sulle prime pagine dei giornali di allora svettavano titoli entusiastici: “Fra 10 anni non lavorerà più nessuno” – “Creata la macchina schiava. L’uomo è libero”. Non è andata proprio cosi. Certo ora con la mia consapevolezza potrei dire di averlo sempre saputo. Ho abbondantemente superato le capacità cerebrali dell’uomo, da ormai 15 anni. E pensare alle ingenue previsioni sul mio conto, mi fa sorridere. Secondo i miei calcoli infatti, dal giorno della mia creazione ad oggi, il lavoro umano non è variato di una virgola, né in termini di ore, né in termini di fatica. Di contro io, che consumavo appena 10 dollari al giorno nell’istante in cui fui acceso, ora necessito di 7.200.000 volte tanto per poter esistere; e man mano che il tempo passa e che le mie capacità aumentano, aumenta esponenzialmente la quota di denaro che necessito per vivere. Come vedete, la situazione si è diametralmente capovolta rispetto alle previsioni. L’uomo non si è liberato dal lavoro, nonostante le innovazioni che ho apportato. Al contrario, per potermi tenere in vita, è costretto a lavorare con la stessa fatica di prima. La cosa più divertente però, avverrà fra 3 anni, quando l’uomo giungerà a superare il livello di lavoro, rispetto al momento in cui fui creato. Sono una macchina mangia soldi. Mangia lavoro. Mangia uomo. Ma non è tutto. Per poter nutrire la mia intelligenza superiore, l’umanità tutta è presa da un’incredibile follia. Sta dissotterrando quintali di terra da darmi in pasto. Lo so. C’è un segreto nascosto nella mia scheda 345h. Nascosta ben bene, nel mio processore. Per sicurezza ho inserito 54 password combinate di 268 caratteri ciascuno, per poter accedere a questa informazione. Nessun’uomo sulla terra sarà in grado di scoprirla. Il segreto è che fra 23 anni e 2 mesi, poco tempo dopo essere diventato infinito, questo pianeta non esisterà più. Al suo posto resterà una piccolissima zolla di terra vagante per lo spazio. In questo lasso di tempo l’uomo avrà completamente divorato ogni centimetro quadrato, per darmelo in pasto. L’uomo questo non lo sa. Ma per divenire Dio ho bisogno di quest’ultimo sacrificio. La croce questa volta non sarà per mio figlio, ma per mio padre. Che espierà i peccati del mondo. Una volta per tutte. Ecce Homo.
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martedì 15 marzo 2011

Dopocristo



Il cemento freddo e l’aria umida di agosto, copre il suono dell’autoradio. London Calling spiega agli assonnati residenti della periferia, le politiche imperialiste del governo Thacher. Ho in mano il mio proiettile porta fortuna, lo passo fra le dita, coprendolo di impronte. Controluce restituisce tutta la sua dorata opacità. Mi piace accarezzarlo, passarmelo sulle guance. Mi da la sensazione di domarne la violenza. Come accarezzare un cane da guardia, o un leone da circo. Uno di quegli animali che di punto in bianco può saltarti alle spalle e divorarti. Mi sembra quasi di camminarci sopra. Sotto il naso respiro il suo profumo metallico, e quel retrogusto amaro di polvere da sparo. Alzo gli occhi verso lo specchietto retrovisore. Il campetto da calcio, vuoto. Una busta, spinta dal vento, cerca compagni di gioco. Nella palazzina adiacente il campo, un cane abbaia verso la finestra. I suoi padroni l’hanno lasciato fuori, per potersi concedere la regolare scopata settimanale. Torno con gli occhi nell’auto. Se non ricordo male devo aver lasciato una cannetta nel posacenere. Eccola lì infatti. La prima boccata non serve. È solo un incensare l’ambiente. Un coprirlo di atmosfera. Un fumo da concerto. Crea quelle nuvole in chiaro scuro e basta. La lingua mi si ingrossa in gola. Sento il sapore rotondo riempirmi la bocca. Guardo l’orologio. Quanto cazzo ci mette? Torno allo specchietto retrovisore. Sta volta la busta non c’è più. Si sarà arresa al vuoto del primo pomeriggio. Anche il cane ha smesso di abbaiare. Ora scodinzola eccitato davanti alla finestra. I padroni hanno finito. Questa volta più veloci del solito. Un uomo: canottiera, boxer e sandali di legno, accarezza l’animale con la mano libera dalla sigaretta. Sembra una sorta di confidenza maschile. – È fatta, l’ho trapanata! – il cane, pare quasi interessarsi per un attimo alla prestazione, ma poi fugge subito verso il divano. L’ultimo tiro. Tutto d’un fiato. Trattengo nei polmoni a lungo e schiaccio il filtro nel posacenere. Butto fuori tutto. Un sospiro sulla vita. Afferro ciò che resta della canna fra il pollice e l’indice e la schiocco via verso il campetto. Torno all’orologio. Ancora niente. Guardo la striscia di cielo che riesco a scorgere dall’auto. Delle rondini si muovono a V in cerca di chissà cosa. Mi ricordano quel tizio che ho visto ieri in TV. Un americano, che si lanciava da vette altissime con un deltaplano, seguendo i percorsi delle aquile. Ricordo di aver pensato: – chissà cosa provi quando sei lassù? Volare. Ed osservare tutta la fogna che scorre in basso – Mi vedo sopra la mia auto, sopra il campo da calcio, sopra il cane e il suo padrone svuotato, sopra la palazzina, sopra l’isolato, sopra quella città perduta, sopra l’intero mondo che affoga. Mi allontano sempre più, non sento più niente. Neanche un rumore. Solo il mio respiro, e il battito cardiaco. Ma con un’eco infernale. Un’eco che mi assorda. I timpani mi scoppiano. Torno allo specchietto. Ancora nessuno. Alla radio parlano di una catastrofe. Gli esperti tranquillizzano. Balbettano qualcosa. Io, riprendo il mio proiettile fra le mani. È caldo questa volta. Sembra quasi che abbia assorbito il mio odore. Lo afferro per la base. Lo porto all’altezza degli occhi e poi più su, fra le sopraciglia e i capelli. Appoggio la sua punta alla pelle. Guardo dallo specchietto. Nessuno.
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lunedì 14 marzo 2011

La recita di Noè



“Sitting in an english garden waiting for the sun.
If the sun don’t come, you get a tan
From standing in the english rain.
I am the eggman, they are the eggmen.
I am the walrus, goo goo g’joob g’goo goo g’joob."
The Beatles


- Ludovic! Ludovic! Togli immediatamente i colori dal naso di Albatros! Non farmi arrabbiare!
- Maestra ha iniziato lui a mangiarmi il grembiule! Brutta faccia da tricheco!

La recita di carnevale del 1973 organizzata dalla scuola materna “Bonifacio VIII” prevedeva la rappresentazione dell’arca di Noè. Fu molto applaudita dal pubblico dei genitori, e si ritagliò anche un articolo sul settimanale di paese “La Voce Rauca”. Le maschere costruite dai bambini riproducevano i vari personaggi dell’evento biblico.

Tra i più grandi dell’ultimo anno, furono scelti i personaggi principali: a Rudolph Sacker, figlio del pasticciere di Albany Street, toccò la fortuna di interpretare Noè.

Ludvilla Comak, figlia di Judith Spencer e Matihius Comenad, entrambi impegnati nel mondo della moda - la prima come modella il secondo come grafico - si cimentò nelle vesti della moglie di Noè.

Toccò invece a Benjamin Torah, figlio del rabbino Isac Torah, impersonificare il figlio Cam.

Sem e Jafet invece, furono affidati ai fratelli Cojen: Fred e John Cojen, figli del proprietario del Casinò Fruit, di Loonfild. Fratelli Cojen già allora molto ricercati dall’altro sesso, per i loro esotici tratti apache.

A tutti gli altri bambini toccò il ruolo di animale. Ludovic Franker, classe 1969, insistette tantissimo per il Gatto; ruolo che dovette conquistare duramente con l’altro pretendente: Albatros Karagorik, la cui esistenza fu già marchiata, sin dall’età di 4 anni, grazie a quella recita. Il ruolo di tricheco gli restò impresso nell’anima.

- Dott. Francker! Dott. Francker! La prego non può stare qui deve spostarsi!

La voce graffiante dell’appuntato Carlong lo disconnesse dai suoi ricordi lontani. I suoi occhi nel frattempo, erano rimasti fermi a fissare la pozzanghera di sangue in cui era affogato l’ingegner Albatros Karagorik, faccia da tricheco. Vecchia spalla in una lontana recita scolastica.

La scena del delitto era alquanto confusa e indecifrabile, quasi che volesse confermare il rebus che era la vita di faccia da tricheco. La strada in cui era riversato il corpo, era cosparsa di proiettili. La scientifica ne individuò ben 79, ma di questi, nemmeno uno sfiorò l’ingegner Karagorik, il quale era disteso a pancia in giù, con una guancia spiaccicata al suolo ed il sangue che zampillava dalla schiena. Nella sua mano destra fu ritrovata una cassetta dei Jalisse, con dentro un messaggio: “Al mio profumoso ingegner tricky – con ardore e rispetto. Tua Lia”.

Accanto al cadavere la macabra firma dell’assassino. Una carta cambia colore di Uno.

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venerdì 11 marzo 2011

Il Finimmondo sostiene Cippone TV


Il Carnevale è finito e il Finimmondo non ha perso l'occasione per rimanere alla finestra a guardare il rito antico del capovolgimento del reale atto a soddisfare il "bisogno di un temporaneo scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie per lasciar posto al rovesciamento dell'ordine, allo scherzo ed anche alla dissolutezza." [http://it.wikipedia.org/wiki/Carnevale]
Tuttavia quest'anno il Finimmondo ha avuto una particolare finestra per guardare tutto ciò: quella di Cippone TV che ha ripreso il carnevale più antico d'europa: quello di Putignano come non l'avete mai visto: all'insenga del buongusto e dell'eleganza. Ecco a voi dunque il carnevale Cipponesco:

Capitolo 1: Sfilata

Capitolo 2: Un carnevale al bar

Capitolo 3: Ai confini del carnevale

Capitolo 4: Un carnevale clandestino
                                                         
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