"Consiglierebbe la carriera di scrittore?" mi chiese uno degli studenti.
"Stai cercando di dire amenità?" gli chiesi.
"No, no parlo seriamente. Consiglierebbe la carriera di scrittore?"
"È lo scrivere che sceglie te e non tu lo scrivere."

Charles Bukowski

martedì 29 novembre 2011

Degli auguri


Si inizia con degli auguri. Che dopo un po' vanno fatti, non subito, diciamo dal secondo anno in poi, giusto perchè uno inizi a intuire di quale anniversario si parli e più che altro, cosa c'è da augurare. Lunga vita dicevano un tempo. Ora no, pare sia un po' riduttivo come augurio, ora che la posta per una lunga vita si è abbassata, dicono. Allora si prova a dire felice vita: auguri di felice vita. Un po' come lavarsene le mani; felice vita, poi veditela tu come. Io non saprei da padre cosa augurare ad un figlio. Magari la poesia in vita. Voglio dire il poter vivere quella sensazione poetica in vita, nella realtà, non sempre, che può diventare anche un po' fastidioso, ma diciamo spesso accorgersi di essere in costume nella sala da ballo, e scivolare sul pavimento quasi meravigliandosi di come si fili davvero così liscio. Quindi eccomi qui a fare la mia parte. Sabato scorso, che per un blog è come dire un mercoledì del 1783, diciamo allora il 26 novembre scorso, qualunque cosa ciò voglia dire, il finimmondo, questa creatura virtuale, virale e virile, ha compiuto due anni (http://ilfinimmondo.blogspot.com/2009/11/anno-2354-le-forze-di-occupazione-degli.html).
Lasciatemelo dire con amor di padre che l'ha visto e trascurato ogni giorno, che è cresciuto. Certo un padre non si accorge subito dei cambiamenti, deve rivedere le foto d'un tempo. Ricordare. Dare corda. Sciogliersi. Ecco, tutto qui, e allora li faccio gli auguri, di non so più cosa. Se può un blog avere un tempo oltre le indicizzazioni, se può avere un età oltre le visite giornaliere, se può invecchiare oltre i commenti scarsi e scarni, se può un blog riconoscersi allo specchio di un suo pari: e su quali piattaforme? Può provare un Blogspot dei sentimenti per un suo simile? E verso un Wordpress? C'è vita oltre Facebook? E ancora, è già zoofilia l'amore fra un Blogspot e un Tumblr? Cosa ne pensa la chiesa? Può infine essere necrofilia un rapporto con Splinder?
Come spesso accade per ogni augurio, per ogni lunga e buona vita, c'è qualcun'altro che saluta, a volte per sempre, dice lui. Così accade che se pure uno è morto da tempo, da tempo non respira e non dà cenni di vita, in realtà poi muore ancora, e solo allora scopri che lui fino a quel momento non era morto, o meglio lo era perché qualcuno lo riteneva morto, e per lui tutti quanti. Anche se potenzialmente poteva rivivere e vivere. Sono di quelle cose che servono a farti capire che non solo si può morire due volte, ma che la seconda volta ti dice che la prima era finta. È questo che succede. Splinder a quanto pare chiude, e noi che navighiamo fortunati su questo pianeta blogger, ancora solido e felice, sicuro delle sue forti spalle googoliane, possiamo anche girarci dall'altra parte e fregarcene, potremmo. Le cose però si complicano quando si scopre che avevamo qualche caro lì su quel pianeta, e chissà come sta ora? Proviamo a chiamarlo per rassicurarci. Quello poi risponde sì, sì. tutto ok, ci stiamo trasferendo in Colorado, stiamo salvando tutto nelle valige. Anche se poi loro sanno che quelle mura hanno la loro vita dentro. E non serve dire altro.
A volte però accade che uno è già morto sull'altro pianeta, e poi scopri che muore di nuovo, con la casa e tutto. Prima potevi anche andarci da quel morto, ma morto per finta. Potevi fare qualche domanda, lui ti rispondeva solo con ricordi, nient'altro, ma parlava, anche se tutti lo davano per morto. Poi però Splinder chiude, buttano giù il morto, la casa, i ricordi e l'anima. Quell'anima che si è reincarnata, in porti sicuri.
Come ci si sente a sapere che la propria vita precedente muore? Per davvero.
Cosa succede quando ciò da cui ti sei reincarnato muore? Che fine fa a quell'anima, che poi è la tua stessa?Cosa succede quando buttano giù tutto ai tuoi fantasmi?

"Questo Blog (o ditelo pure) è la reincarnazione del Blog (o blogga) antistorico Atto/azione morto d'asfissia in un'ora d'aria" 


Forse gli andrà a far visita qualcuno, prima che portino via la salma.
Ci torna il finimmondo, a cercarsi e ritrovare un filo disperso, un suono che ancora sembra parlargli da un mondo e un morto così lontano. Dovrai ascoltarla quella voce. La strada non ha mai lo stesso destino d'andata. Figliolo.
Auguri e condoglianze.

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domenica 13 novembre 2011

Lettera d'addio (ai nemici ed alla patria)


Non l'aspettavi questa lettera, certo non ora. Nenach'io a dire il vero. Eppure mi ritrovo debitore. Sono io, colui che ti insegue dall'inizio ed ancor prima. Quando ti dichiarai guerra e ti elessi a mio nemico. Sai già chi sono, conosci i miei nomi e i miei spostamenti. Quasi vent'anni di inseguimenti ed eccomi ora, incredibilmente superstite, davanti al tuo capezzale, ma non sono più vivo di te, non provo gioia né riscatto, perchè conservo ancora qualcosa di raro, qualcosa forse anche a te sconosciuto, anzi sopratutto a te, che hai plasmato e torturato a tal punto questa terra da aver corrotto anche i tuoi nemici, si chiama onore. Avrei dovuto conficcarlo io quel pugnale, io che ti inseguo dalla notte dei tuoi tempi. Avrei dovuto strigerlo io quel cappio al collo, io che ho sognato il tuo cadavere ogni notte per vent'anni. Avrei dovuto metterti io alla barra, giudicarti, condannarti e giustiziarti, per ogni ferita inflitta a me ed al mio popolo cieco. Mi hanno chiamato Sciopero e nei momenti migliori fatto addirittura Generale, per buttarti giu dal tuo trono incensato. Li ricordo i primi tempi, li ricordi anche tu, non era come oggi, solo e tradito nelle tue stesse fila. Allora che godevi del potere dei condottieri fra le tue truppe, salvatore ti chiamavano. Anche tu fosti àncora per i naufraghi d'altre guerre, traditi anche loro e mai giustiziati dai loro nemici. Ero a Napoli quando per la prima volta ti ferirono alle spalle, ma anche quella volta non ero io, non fu la mia lama a colpirti. Ed anche se ho sempre voluto giustizia non era quella imbiancata delle toghe che cercavo, ma la mia, sempre la stessa, da sempre. Ero ancora in clandestinità, allerta con le mie legioni, sapendoti vorace. Ci ritrovammo ed avevo un altro nome, un altro il campo di battaglia. Mi hanno sopranomminato Carlo dopo. Ero un altro mondo. Non avesti il tempo di stringere lo scettro. A viso aperto ci rincontrammo a Genova. Non avesti pietà di me, alcuna. Non potevi e non la cercavo. Perì ancora. Mentre assoggettavi ogni centimetro di mente, ti ho odiato ancora di più. Ma non ero morto. Ero ferito, pericoloso, come ogni animale ferito. La ricordi ancora, quella lama nel tuo costato. “Dimmi il tuo nome!” mi chiedesti, e non potevo che risponderti “18”. Dopo ci siamo ritrovati mille volte, ma lontani. Cesare premuroso, accollato nel tuo mantello preferivi i mercenari da mandare al macello. Mi hai chiamato Pace, quando bombardavi per il mondo, black bloc, quando ti servivo crudele, San Precario se beato, No tav in Valsusa, No ponte giù in Sicilia, e poi sempre più sfuggevole in ogni angolo mi sono celato, dentro ogni foresta, le mie imboscate si facevano sfuggenti e repentinee, a Vicenza, tra i rigassificatori e inceneritori, cementificazioni, deforestazioni, condoni, e poi a Termini Imerese, Pomigliano e Mirafiori, io c'ero, io ero lì. Eccoci qui ora, alla fine di questa corsa, che non è solo tua ma d'entrambi. Siamo sconfitti, così tanto ci siamo rincorsi. Non era questa la fine che desideravamo, nessuno dei due. Ma questo popolo è il tuo, Cesare, tue sono le menti, tue le ossessioni e perversioni, tuoi i risentimenti, le passioni e compulsioni, e se questa è la tua fine tu l'hai cercata. Per conto mio ho perso ancora, e morendo così mi pugnali di nuovo, con la più definitiva e mortale delle ferite. Ma Cesare, so bene che neanche tu potresti tanto, e tu stesso insieme al tuo popolo eletto, anche quello che ti manda al rogo, non sei che il risultato dei millenni di questa terra, di questo popolo infame e miserabile, eternamente pecora e ingrato, servile e canaglia, chino e traditore. Molto prima d'essere nazione era ancora risentimento, tanto da render possibile l'inaudito per il proprio particulare, da invocare il re straniero, per far fuori il proprio principe, perchè non siam popolo, perchè siamo divisi. Adesso tocca a te Cesare, donare il sangue alle tue serpi, attillate in doppio petto in attesa di Carlo V. Scende il re spagnolo, muore il vecchio tiranno, e di me chi ti ho inseguto sino all'ultima delle tue ore, non resta che morire insieme a te. Mentre le strade incoronano il nuovo cavaliere.

Tuo maledetto
                                                                                                                                                  Q

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domenica 6 novembre 2011

Non ci piove


Di piovere deve piovere, non ci piove. Il problema semmai è capire su quali cappotti piove o deve piovere. Se ogni goccia debba insinuarsi tentacolare nel feltro o scivolare come uno stagno sulla pelle, condensarsi in chiazze omogenee sui k-way. Potrebbe inzupparsi nella stoffa. Inumidirsi e gocciolare nella lana. Gocciola. Si allunga. Rilascia. Si ritira. Si scioglie a terra. È un parto delicato e matematico la goccia, il gocciolare. Gocciola. Si allunga. Rilascia. Si ritira. Si scioglie a terra. Evaporano gli stagni, evaporano i fiumi e i fiumi in piena, evaporano i mari, evaporano i ghiacciai, evaporano i pianti, evaporano i cappotti ed i k-way. Evaporano i desideri, evaporano i brutti pensieri, le angosce, i malintesi. Evaporano le paure scampate, le salvezze apparenti, quelle sincere. Evaporano gli anni, evapora il silenzio, il giorno, il ricordo. Si ascende, con le correnti, le ricorrenze, i ridondanti. Si torna, si soffia, si viaggia, si sorvola, si cavalca, ci si allontana, si elenca, si ripete, si gioca con le parole, con i venti e i vanti ed ogni tanto i vati.
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sabato 5 novembre 2011

In sogna


Dolente. Con un muscolo pigro. Un altro teso dietro la nuca. Rinuncia al vino dopo i pasti. Meglio astemi nel mangiare. Era lenta quando sognava. Appariva in immagini che erano solo nella sua bocca. Appena impastata e secca. Appena sveglia si ritrovava sola. Senza più tutte quelle idee di quando era R.E.M. Per questo ci affondava volentieri. Tanto nei libri, quanto nelle lenzuola. Era lo stesso immenso campo di battaglia. 

Appena ad occhi chiusi, si ritrovava sempre in una sala d'aspetto. Era molto comoda, silenziosa, asettica, bianca con un leggero profumo di vaniglia e bisbigli dietro le porte. Seduti in comode poltrone bianche insieme a lei apparivano sempre diversi personaggi. Ma tre erano quelli immancabili che si ripresentavano ogni notte: il primo si chiamava Martino Martini Martinelli un latinologo di successo, che curava una trasmissione televisiva su telerobbamia da ormai 15 anni indagando sulla scomparsa del latino negli uffici pubblici. Indossava un completo beige su camicia bordeaux, scarpe verde scuro luccicanti ed un immancabile papillon marrone a pallini bianchi. Pochi capelli sulla testa coperta da una bombetta rossa e baffi all'insù; il secondo era un pregamorto, si chiamava Louis Franco Boldis e come tutti i pregamorti era nero, eccetto per il rossetto rosso e il fondotinta bianco; l'ultimo e immancabile era un ragazzino di 11 anni, appena prematuro di nome Michelino Giancesare Aggioletti, ma tutti lo chiamavano psss. Erano loro tre ogni notte a decretare i suoi sogni, che partivano tutti sistematicamente da quella sala d'aspetto. Di solito era Martinelli a rompere il ghiaccio, faceva finta di leggere riviste di gossip, per poi ogni notte sospirare, tirarsi su i baffi e iniziare a dar sfoggio della sua erudizione
- « Sans papiers je nè compris pas » dicevano i latini gallici al volere della luna, quando i tabernacoli strapieni di vini, riempivano tannici i volti imbiancati dei liberti. Era l'anno 34 dopo Cristo ed il triumviro del Peloponneso riunitosi per disquisire delle recenti rivolte persiane ebbe a dire «Limite d'accesso per i mezzi pesanti» nessuno capì le sue parole e pochi secoli dopo i barbari ebbero ragione su tutto!
Così facendo il Martinelli strizzava l'occhio nella sua direzione, con un leggero sorrisino.

Povera me diceva sorpresa nel sonno, ho sbagliato di nuovo qualcosa, fra qualche piega devo aver perso tempo, senza accorgermi dell'asfalto sotto i piedi, che non è più liscio come una volta, ma usurato dalle continue sollecitazioni, dal gelo e dal calore, dalle piogge, dall'erosione, dall'evasione, dall'incudine e il martello, dai vetri rotti in campagna, dalla voce del direttore che mi è parsa un po' fredda o magari era un'impressione, ma adesso è solo quel suono teso che rimbomba dentro, è solo quello a far rumore, anche quando non ci pensi, c'è solo quello, poi passa, come la marea lascia pian piano l'umido sulla sabbia, poi la schiuma, poi niente, solo sotto in profondità qualche traccia, impercettibile e pungente.

Toccava ogni notte a psss prendere in mano la situazione dei sogni, lui a 11 anni deve ancora scoprire la masturbazione, anche se sa già che c'è qualcosa che non va, qualcosa di strano, ma non capisce cosa diamine è. La scoprirà domani, ma ogni notte, il domani di ogni notte. Sarà per sempre il giorno prima della prima sega. Ma lui non lo sa. I suoi occhi paiono quasi commossi dalle parole del Martinelli e prova ad alzarsi in piedi dal suo divanetto, ma non ci riesce, così rimane disteso, guarda il soffitto e inizia ad emettere un sibilo sottile, dapprima silenzioso, quasi impercettibile e man mano sempre più forte
- ........hhhhhhhhmmmmMmmMmmmMmmmmMmmmMMMMMMMMMMM!!!!!!! Deve esserci qualcosa oltre questo scroto deve! Dev'esservi una fine in questo corpo bestiale che non mi dà tregua, e mi strappa via ogni giorno le mie corde vocali, i miei peli prepuzi, i brufoli sul viso non sono la mia età, questi baffetti piumati, odiosi e meschini, sicuri della tolleranza infantile, della salvezza garantita per chissà quanto prematuro ancora, non fanno di me un giovane turco. Io sono mio! Ma mio di chi?!! E ci voleva anche il catechismo, come se non bastasse, avrebbero dovuto darmi una puttana, una tetta, un pelo, una coscia, persino un autoreggente mi sarebbe bastato, ma per far cosa? Per strozzarmici nudo, per scrotarmi ed evirarmi e stringermi e penetrarmi e strusciarmi al termosifone di casa sua, alle sue defonseca, ai suoi calli, ohh benedetti calli schifosi, quanta poesia erotica dentro di voi! Ma perché, perché mi avete spremuto dentro il peccato se sapevate tutto questo? Perché?!! È facile essere fedeli nell'incoscienza, ma perché quest'abominio allora, questa mela intestina, masticata e mai sputata, perché mi volete peccatore? A tutti i costi, per capire le vostre omelie? I vostri vangeli? Al diavolo voglio sburrare su satana! E poi vuoto magari tornare a benedirmi con voi!!!
Ogni notte psss finiva il suo monologo prematuro e sconsolato, composto, come non fosse mai successo nulla, si dirigeva verso una porta oltre la sala, su cui c'era scritto «Sala Prove, Via Martiri del Prepuzio, 69 angolo con Via delle Pene» guardava tutti commosso e con quell'aria ingenua e scanzonata entrava dentro.

La fanciullezza rapita. Dovrebbero farli più spesso i riti di iniziazione. Dovrebbero anzitutto fare un grande funerale, con una bara bianca davanti ed il fanciullo iniziato dentro, senza coperchio. Deve capire in quel momento che quel passaggio è come ogni passaggio, anzitutto una morte. Un bambino muore e un adulto sta per nascere. Andrebbe messo sotto terra per qualche secondo e poi estratto, il tempo per cambiarsi d'abito e festeggiare il nuovo venuto, dalla terra.

Louis Franco Boldis, che sino ad allora guardava impassibile, con la sua calma eterna il dispiegarsi del mondo, delle sue contorsioni e contraddizioni, prende la parola da un colpo di tosse, che schiarisce una voce cadaverica e pesante.
- Vedete miei cari, io capisco bene come le vostre preoccupazioni ora, sono tutte incentrate verso quale lato mostrare al mondo, se frontale, di lato, superiore, inferiore, destro o sinistro, lasciate che vi dica la mia, che ho una certa esperienza sui copri e conosco alla perfezione i loro lati. Tutto dipende innanzitutto dall'età, ad esempio i bambini non stanno bene mai da nessuno lato, così almeno può sembrare ad un occhio inesperto, magari costretto a vederli sempre mobili e irrequieti, ma io vi posso assicurare che il lato migliore dei bambini e da dietro le orecchie, cioè proprio dal capo girato per tre quarti, appena dietro l'orecchio, in modo da poter vedere bene i capelli, le orecchie e intravedere appena gli occhi, che i bambini è meglio non guardarli mai per troppo tempo negli occhi, rischierebbero di farti sentire in colpa, di farti provare pietà di loro, per quella fine precoce che farà l'innocenza, perché vi rinfaccerà, con quegli occhi, il vostro adulterio vitale, da adulto. Non si può resistere allo sguardo di un bambino. Nei ragazzi il lato migliore è senz'altro quello frontale, sono una vetrina, una merce esibita. L'eternità di Apollo che ti obbliga alla primavera, sempre. Per gli adulti e i cinquantenni il lato migliore sono le mani, ti dicono tante cose. Chi sei, cosa sei, quanto sei, cos'hai fatto e spesso cosa ti resta. Le mani sono il segno di chi ha lo scettro in mano e a quell'età si comanda, la strada si è già scelta, si può solo imporsi. Il lato invece che prediligo negli anziani è quello laterale, assumono una dignità inimmaginabile gli anziani di profilo, sono sagome all'orizzonte, ulivi piegati e maestosi, fra le rughe piene, e i nasi induriti. È più o meno questa la vita, una questione di profili, di punti di vista.
A quel punto Louis Franco Boldis si alzava cauto, si dirigeva lento agli angoli della sala e spegneva pian piano tutte le luci. Poi quando il buio era totale si ritrovava nel suo letto. Ancora nuda a pensare quale fosse il profilo migliore per dormire. Ma non era sveglia. Ancora.

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mercoledì 2 novembre 2011

Sonnambulismo messianico


Rientrò prima di dormire. O poco dopo, lì sul portone di casa, dove aveva da tempo deciso di sistemare gli ombrelli, il tappeto, il campanello. Che certe notti, certe notti verrebbe d'uscir fuori in ciabatte, anzi meglio a piedi nudi o coi calzini, che è sempre meglio ripararsi un po'. Certe notti dicevo, certe notti verrebbe d'uscir fuori quasi scalzi con l'ombrello, anche senza pioggia, anzi sopratutto senza pioggia, che se piove invece è meglio lasciarlo dentro l'ombrello e abbracciarsi la pioggia. Così dicevo certe notti, certe notti senza pioggia, verrebbe d'uscir fuori quasi scalzi con l'ombrello e scendere le scale, anzi meglio, rotolarci giù per le scale, con l'ombrello aperto. Cosicché, come dicevo, certe notti, certe notti senza pioggia, verrebbe d'uscir fuori quasi scalzi con l'ombrello aperto e rotolare giù per le scale e poi magari aprire il portone, anzi no meglio, rimanerci prima delle ore dietro a quel portone e guardarci attraverso se è possibile, che se ci guardi attraverso ai portoni o in generale ai vetri e fuori c'è il mondo, allora è, allora è, allora è come vedere un film, come riparato, come se ci puoi pensare un attimo, puoi dire magari torno su, oppure resti davanti alla porta a guardarci attraverso, ti pisci addosso se vuoi, magari sì, potendo uno si piscerebbe addosso, lì davanti al portone mentre ci guarda attraverso e pure se non ci guardi attraverso, pure se il portone è di legno o di ferro o di marmo o comunque senza vetri, uno ci rimane, dico ci rimarrebbe lì ad aspettare e pure a pisciarsi addosso. Dicevo quindi che certe notti,  certe notti senza pioggia, verrebbe d'uscir fuori quasi scalzi con l'ombrello aperto e rotolare giù per le scale e rimanere ore davanti al portone, a pisciarsi addosso potendo, per poi aprirlo quel portone e mettersi in mezzo alla strada con il freddo leggero a dare ossigeno e i pensieri a sputare nel silenzio. Allora dico, solo allora, potresti anche morire, abbracciare un uomo, uno qualsiasi, uno sconosciuto, o il vecchio della porta accanto, quello del primo piano che non ti è mai andato a genio, allora potresti anche correre fino all'altro lato del paese e fermarti quando il fiato non ti dà tregua, per poi guardarti la punta dei piedi, alzare lo sguardo al cielo e ridere a crepapelle, provare poi a volarci con quell'ombrello e dire a tutti che il mondo sta per finire e i giochi sono fatti, e c'è da esser matti a restar lì impassibili e sani mentre il mondo sta per finire, anzi no, dire che il mondo è già finito e siamo qui da secoli ad aspettare un tram che ci porti via da questo casino, prima dei netturbini. Hanno detto alla televisione che  i ferrotranvieri sono in sciopero, altri dicono che sono morti anche loro e certe sere, che uno starebbe lì lì per uscire fuori, e far chissà cosa, finisce che gli sorge il dubbio che tutto è già finito, mentre si rimane ad aspettare un epilogo che non verrà e allora tutti quei pensieri e quelle strane voglie le lascia cadere giù dalle scale, che va a finire che ti prendono per pazzo, per la solita fine del mondo. Solo a quel punto, quando t'accorgi del vicino che ti osserva lì titubante in piena notte, con la porta aperta, quasi scalzo e la mano vicino agli ombrelli, trovi la prima scusa che ti capita, provi con la storia del sonnambulismo, che forse a quella ci credono. Per spiegare quel paradosso della fine del mondo, tanto vale affidarsi al sonnambulismo.
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