"Consiglierebbe la carriera di scrittore?" mi chiese uno degli studenti.
"Stai cercando di dire amenità?" gli chiesi.
"No, no parlo seriamente. Consiglierebbe la carriera di scrittore?"
"È lo scrivere che sceglie te e non tu lo scrivere."

Charles Bukowski

martedì 20 novembre 2012

Io, Archaeopteryx e il deserto


A quanto pare Postribulo inizia a mietere le prime vittime. 
Su Copylefteratura è stata dedicata un'interessante e lusinghiera recensione dell'opera, giungendo ad apostrofarmi nientepopodimenochè come un Archaeopteryx (l'animale che vedete nella foto lassù estintosi svariate lune fa). Sempre dallo stesso blog, potrete trovare una versione ridotta del postribulo curata da Malos che ringrazio qui per le belle parole sprecate per il sottoscritto ed il sovrascritto. 
Ultimo appello agli utenti che si affacciano per chissà quali motivi a questo deserto (Sai un giorno devo andarci nel deserto, mi ci porti? O meglio, mi ci lasci? Credo sia scritto tutto nel deserto e nell'Oceano, intendo tutto ciò che c'è davvero da scoprire e da sapere su tutto), dicevo purtroppo come avrete notato da un po' di tempo a questa parte (diciamo da un anno) questo blog va davvero a rilento, è ingolfato. Ora la colpa di tutto ciò è sempre la stessa: Io.
Ma vi lascio con una scusa plausibile, così almeno ho la coscienza apposto: da qualche mese sto scrivendo una cosa, che lascio e abbandono come sempre, ma a cui tengo molto. Vi dico solo tre parole per destare o assopire per sempre la vostra curiosità: 
Reduce. Parola. Sequestro.
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lunedì 1 ottobre 2012

Postribulo diventa un ebook


Ci eravamo lasciati quasi un anno fa. Con un Postribulo che terminava la sua ruota, metteva un punto e chiudeva le porta ad un anno di suoni.
Ogni anno è un valzer di stagioni. 
Un nuovo percorso si apre. 
Postribulo lascia l'istante e si fa ricordo scritto. 
Un libro da scaricare.
"Ora però come ogni ciclo ed ogni cristo, la terra si rimesta e un nuovo cammino tocca al Postribulo. Sarebbe bello per te lettore poter sperimentare nuovamente il suo battito, leggendo un numero al giorno e finirlo fra un anno questo libro. Oppure, veloce come una pellicola, riassorbire tutto in un respiro solo. Buona lettura."

download: Postribulo (pdf, epub, mobi, azw3)

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sabato 14 luglio 2012

Versi sudati


Si versano i versi e si sversano. Sudati di detti che avresti voluto dire ma non sapevi digerirli. Si sfocano i pensieri, le volontà e le voluttà, si adagiano allo scivolìo i verbi invertebrati che galleggiano senza soggetti fra la polvere d'agosto. Non parli più da tempo, non scrivi e non detti. Non pronunci pronomi e non preghi. Pago del guardar passare, del vedersi invecchiare, del non leggere più, del correre a piedi, dell'incontrarsi a mezzanotte col proprio letto e non aver più nulla da dirsi. Perchè dire non è tutto, anzi dire non è niente. Non si traduce ogni cosa, non si può uccidere tutto. Di banalità hai barattato la tua strada in salita. L'ovvietà ce l'hai servita a tavola al posto delle tue lacrime decedute. Non posso più ascoltarmele scivolare. La palestra di liberazione, lenta mi porta sul mare d'autunno, che fischia di salsedine a chi sa ingoiarla. Ritorna muto, rimpara l'analfabetismo, torna a guardarti cieco, affoga nel silenzio sordo. Scava il respiro come un minatore stanco, eccolo il deserto perso.
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venerdì 18 maggio 2012

Naufraghi


Ci sono naufraghi che cercano la propria isola deserta in orizzontale. Scappando semplicemente. Sentono nelle orecchie quello stridere graffiante dei contemporanei e allungano le pieghe delle coperte, fra loro e il mondo. Fuggono via, fuggono in continuazione, scappano dai volti, dalle voci, dalle case, dalle strade, dai luoghi, dai discorsi, dalle incomprensioni, dalle risate, soprattutto dalle risate, più che dai sorrisi. Fuggono dalle parole, quei suoni lasciati cadere, lanciati, scagliati, vomitati, subiti. Cercano il silenzio, lontani, prima dalla propria lingua, poi una volta a galla nelle altre lingue, fuggono anche da queste. Fuggono da ogni comprensione, cercano il deserto, il proprio incomunicabile immenso deserto. Sembra che abbiano più fondo dentro in cui affogare, che nelle mille piazze, nei lunghi discorsi, negli infiniti suoni lasciati a macerare al sole. In fuga dalla parola, ognuna inutile per ogni deserto, ognuna equivoca ed assassina. Sono questi i naufraghi che diventano eremiti. Mettono chilometri dal mondo in orizzontale. Altri naufraghi invece, talmente disprezzano il mondo, che preferiscono scalarlo. Salirci sopra per poter rubare aria più pulita, per non doversi consumare di ossigeno putrido, tossito, respirato. Tanto vomitano la nausea per quelle voci ruttate, che presi da claustrofobia, cercano la luce e non gli resta altro che scalare, per poter guardare tutto dal di sopra, nel silenzio imbottito. Tranquillizzati, il loro respiro si fa più calmo, più regolare in vetta. Guardano quel postribolo dall'alto e da lì su - ovattati e senza rumori - quel degrado può apparire anche romantico, ma solo da lassù.

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mercoledì 9 maggio 2012

Recensioni Minime: Il corpo estraneo


Recensioni Minime
Il Corpo estraneo (Marco Montanaro) - Caratteri Mobili

Un uomo bagnato fradicio cammina nel fango e attraversa i corpi. Si masturba molto ma con poco successo.

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lunedì 7 maggio 2012

Recensioni Minime: L'apprendista libraio


L’apprendista libraio (Stefano Amato) - autoprodotto
Un ragazzo trentenne con le scarpe di tela, viene assunto in una libreria siracusana. Clienti fastidiosi e frustrati gli rendono la vita impossibile, ci resterà 5 anni con l’unico desiderio di licenziarsi. Fuori di lì sembra Bukowski, con meno alcool ma molte più donne. Il laissez-faire di lebowskiana memoria trova terreno fertile nella placida terra degli aranci.

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venerdì 4 maggio 2012

Recensioni Minime: Previsioni del tempo


recensioni minime
Previsioni del tempo (Wu Ming)  - Einaudi Editore

Un camion porta carcasse di maiali da Napoli a Bologna. Il camionista suda, guida, mangia e caca. L’altro pippa , spara e ingoia Malox. Qualcuno li insegue.

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Recensioni Minime


Così ho pensato - mentre leggevo - che potevo - per così dire - liofilizzarlo.
Un po' come quando, ti chiedono "Hai letto quel libro? Di che parla?"
Ecco io di solito cerco di ridurre il tutto in minimi termini.
So che la cosa potrebbe risultare alquanto fastidiosa, come dire di una Piramide che è una "costruzione egizia", ma di questi tempi barocchi è bene che qualcuno pensi ai dadi per brodo.
Premetto - ma perché poi - che non ho la benché minima pretesa letteraria tanto meno critica su nulla (sul nulla). 
Così non sapendo da quale libro partire ho deciso - come si dice dalle mie parti - di prenderlo alto il parete. Credo proprio che partirò da Wu Ming (un giorno o l'altro la pagherò per questo).
Bene buona lettera, premunitevi di cannucce.

«L'uso liofilizzato che - come si chiama? - il rasputin, ha fatto della letteratura è un uso criminoso!» 
                                            Ciascheduno 
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venerdì 27 aprile 2012

Resistenza Toponomastica




«In un impeto di ribellione per tanta imbecillità in quei giorni anche il busto di Lenin cominciò a lacrimare»
Offlaga Disco Pax - Piccola Pietroburgo

La pipa di Pertini sbuffa furiosa, mentre cammina nel vialetto della sua trincea. Il suo passo nervoso e veloce, a dispetto della sua statura, lo rendono al tempo stesso simpatico e autorevole, un vecchio partigiano severo e incredibilmente dolce. Il miglior presidente, disse qualcuno, sicuramente il più romantico. Sandro ricorda i tempi lontani della sua gioventù ardimentosa. La fuga in Francia, il ritorno, la condanna. Ha ancora gli occhi lucidi al pensiero di quel suo grido nel tribunale fascista che lo condannava «Abbasso il fascismo! Viva il socialismo!». I tormenti della madre, che ne chiese la grazia e il suo commovente strazio, di fronte a quella sofferenza universale. Il ricordo tenero dell’abbraccio materno lo porta verso gli ultimi passi della sua trincea, piccolissima trincea di paese, per un grande piccolo uomo, come lui. Di fronte, scorge una figura di spalle, china su un piano mentre esegue un notturno. Pertini gli s’avvicina silenzioso, rimane muto, assaporando quello note dolci accarezzare il fumo della sua Pipa. Terminato di suonare, i due sguardi si incrociano, e Sandro con la sua voce calda e commossa chiede «Immagino che lei sia Chopin, il compositore». L’altro lo guarda sorridente e aggiunge «Sì in persona, lei dev’essere Pertini. Non l’ho mai conosciuta dal vivo, ma mi hanno parlato molto di lei». Pertini accomodandosi al suo fianco ribatte incuriosito «davvero?» - «Certo» prosegue l’altro «mi hanno detto che lei è un romantico moderno, di un secolo nuovo che noi non abbiamo conosciuto. Certo poi è strano che l’abbiano messa qui, insieme a tanti musicisti, non lo trova un po’ bizzarro? Non si sente fuori posto?». Sandro guarda verso l’orizzonte. Girandosi d’un lato, scorge fra gli alberi un altro sognatore, anch’egli con lo sguardo all’orizzonte: Colombo, navigatore e scopritore, a circoscrivere un quartiere dedicato a dei sognatori musicali. «Al contrario, le dirò, non potevano che farmi regalo migliore, per la mia eternità che lasciarmi qui, nella pace della musica, dei compositori, della più leggiadra delle arti. Che soave riposo mi sarebbe concesso. Ma neanche qui m’è risparmiata la sofferenza, neanche qui la pace, tantomeno ora, posso dirmi libero dai tormenti e tribolazioni della mia vita, donata alla libertà». Chopin lo osserva preoccupato e sussurra «sarà mica colpa di quello lì? L’altro nuovo? Quel gran parco che hanno piazzato oltre la sua trincea?» Pertini ricambia con due occhi di fuoco, spiegando tutto con quelli, aggiungendo, dalla sua bocca solo una parola «Certo!». Chopin, sapendo di non poter nulla, contro quella tragedia fuori dal suo tempo, torna con un leggero inchino della testa al piano, potendo regalare solo quella pace. Pertini si girà e continua il suo andare, questa volta verso la direzione opposta. Si ritrova ancora più agguerrito di prima. Tremendamente infuriato. Un fuoco che si sparge per una via, la sua, piuttosto piccola. Come dimenticare allora il volto del caro compagno Antonio, per poco tempo compagno anche di prigionia, in quella vicina Turi. La lotta partigiana, su per i monti, l’odio insopprimibile per le carogne fasciste, disprezzatori della libertà, vili, codardi, venduti allo straniero. Dover salvare la patria, il popolo italiano, da quella feccia. Poi il meraviglioso 25 Aprile, la liberazione, l’urlo nella radio a Milano, urlo di gioia e ribellione «Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l'occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire». I suoi ricordi pieni di ardore finiscono fra altrettante note furiose. Sandro le riconosce subito. “La Cavalcata delle Valchirie”. Wagner anch’egli di spalle dirige la sua orchestra sprigionando tutte le forze, i tormenti, le angosce e il dramma di un’esistenza. Pertini non vuole fermarlo, interromperlo, né interrogarlo. Rimane in silenzio nella sua trincea ad ascoltarlo. Dall’altra parte della trincea, ancora il nemico, ancora e sempre uguale a quel che combattemmo sui nostri monti in Spagna. Uguale è la canzone che abbiamo da cantare: Scarpe rotte eppur bisogna andare!
Qualche strano e discutibile amministratore pubblico aveva deciso di sotterrarlo lì Pertini. Come fosse una salma inutile, o ancor peggio utile. Utile per poter accontentare e placare quanti nutrirono il disprezzo per un parco, un gran bel parco, dedicato a quella canaglia di Almirante. Per un utile scambio bipartisan, in una zona piena zeppa di musicisti, barricato dietro quel parco, c’è lui: il grande partigiano Pertini! Che disgustato rimane in trincea a combattere il nemico fascista di sempre. 
Almirante: firmatario ed estremo difensore del Manifesto della Razza, arruolato tra le fila della Repubblica fascista di Salò. Nel 1944 firmò un manifesto in cui si decretava la fucilazione dei partigiani “sbandati”. Fondatore e segretario del partito neofascista MSI nel dopoguerra. Lo stesso Almirante accusato di apologia del fascismo nel ’47. Rappresentante di quel movimento che per tutta la sua esistenza è stato contiguo con gli ambienti dell’eversione nera e della P2, nei dichiarati intenti di attacco agli organi costituzionali dello Stato, e dalle cui sezioni sono usciti gli assassini di Benedetto Petrone.
Compagno partigiano Pertini. Resisti! Dietro le trincee della tua piccola via. La lotta contro il fascismo non è ancora finita. Questa battaglia tutta toponomastica, ti vede degno rappresentante della Repubblica, della libertà, e della democrazia. Forza Sandro!

 « Non vi può essere vera libertà senza la giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà » (Sandro Pertini) 

 - Nella seconda metà degli anni '90 l'amministrazione comunale di Putignano (Ba), guidata dal Maggiore dell'Areonautica Marco Galuzzi (centrodestra) sotto la spinta dei residenti della zona di "Putignano 2000" decide di creare un parco. Incurante delle scelte dei residenti, il sindaco sceglie, dato lo sdoganamento a destra dell'era Berlusconi, di affibiare a quel parco il nome di Giorgio Almirante. La scelta appare piuttosto sgradevole per i cittadini del quartiere, specie se si tiene conto che tutte le vie di quella zona sono dedicate a musicisti famosi. Per far "ingoiare la pillola" allora, decreta al contempo di dedicare una piccola via adiacente al presidente della repubblica e partigiano Sandro Pertini -

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martedì 17 aprile 2012

Doppia mandata


Linda tornò a casa un po' prima del solito. Mentre saliva le scale, pensava alla giornata di lavoro passata. A quel senso di vuoto che le copriva il respiro, arrivava in gola e induriva le caviglie. Si sentiva in corsa su un tapis roulant, o come quando sognava di correre, di scappare da qualcosa e si ritrovava pesante, le gambe incastrate come in sabbie mobili. Sentiva dentro l'energia ma rimaneva bloccata. Come quei cartoni animati, dove prima di sfrecciare, i personaggi rimangono fermi a ingolfare i passi senza avanzare d'un millimetro. Era quello il senso d'asfissia che sentiva dopo il lavoro, aveva sogni e poteva costruire grattacieli e ne costruiva di bellissimi nella sua testa, che se solo da fuori potessero appena scrutarli; Dio che monumenti che erano! Ma poi rimaneva ferma, incredibilmente atterrita dal primo mattone, dal foglio bianco, dalla tela immacolata, dalla nota non emessa. Perché, come può quel capolavoro rischiare di cadere e sporcarsi, di inciampare, di finire in un vicolo cieco, di smarrirsi nella banalità, solo per un passo falso, che ha l'audacia d'essere primo? Come potrebbe quella perfezione cadere nel gesto d'inizio, correre sui binari, scivolare sulle curve sinuose e minacciose, cascare dalle alture giù verso la pianura, e attraversare assalti, ruscelli e gole profonde, se è già immacolato nella sua assoluta bellezza e perfezione mai avviata per davvero? Linda ingoiava saliva amara nell'ascensore che la portava su al piano. Ne uscì quasi atterrita, mentre cercava le chiavi in borsa. Ad un tratto qualcosa colpì i suoi pensieri sotterranei, udì dei rumori dall'altra parte della porta. Erano le cinque del pomeriggio, ed a quell'ora Fabio doveva essere a lavoro, ne era certa, le aveva detto che era un periodo in cui era incasinato fino al collo. Erano usciti insieme al mattino. Chi poteva essere? Un'orrenda ipotesi si materializza nella sua testa: ladri! Sapevano delle loro abitudini, li avevano spiati probabilmente, e avranno deciso che quello sarebbe stato il giorno perfetto per ripulirli. Era lì ferma davanti al portone di casa, guardava la punta della chiave a doppia mandata, con il piede destro leggermente impuntato verso dietro e il corpo slanciato in avanti, immobile, in quella posa istantanea che la assomigliava ad una statua atletica. Quei maledetti ladri, dovevano scegliere proprio quel giorno che era tornata prima del solito per derubarla, scegliendo per altro un ora comunque tarda per la loro sicurezza. Avrebbero potuto farlo una o due ore prima, allora sarebbero stati certi che nessuno sarebbe potuto giungere tanto presto da lavoro. Cosa fare? L'unica soluzione poteva essere scappare via, attendere la fine del loro lavoro e tornare speranzosa. No, no, che idea stupida, e poi come avrebbe potuto accorgersi del via libera? No, a quel punto tanto valeva allertare i vicini, magari potevano telefonare alla polizia...sì e per dire cosa?  - Sa, ho sentito dei rumori provenire da casa mia -  In effetti, tutto questo poteva solo essere frutto della sua suggestione - per un rumorino ho già dato la casa al fuoco - pensò, e si fece più quieta il piede destro si riposizionò tranquillo affianco al sinistro, la schiena si riequilibrò in posizione eretta. Più serena, allungò la mano destra e la chiave impugnata, verso la serratura, quando un nuovo sospetto le balenò per la mente, questa volta molto più veloce del primo. Fabio, poteva essere lui lì dentro, oltre la porta,  certo molto più probabile dei ladri, a differenza dei quali, le chiavi le aveva. Eppure le sembrava strano alquanto, questo rientro prematuro, senza che ne fosse informata, di solito quando finisce prima avvisa. E poi non era il suo periodo incasinato? La cosa non si spiega e come in una visione, immagina quella porta che si apre al girare della chiave. Il rumore, lo stesso di prima, dei passi scalzi di Fabio in cucina, ancora ignaro dell'arrivo Linda, che lo vede di spalle nudo. Per un attimo si immagina ferma, sbalordita di fronte alle sue spalle incoscienti, mentre silenziosa continua l'ispezione della casa, in cerca dell'orrendo dubbio. Fabio grida qualcosa, che non sembra diretto a lei, ma a qualcun'altro, dunque. Corre adesso, Linda, indifferente alla reazione di Fabio verso la camera da letto, e sulla sua metà, nella culla delle sue stanchezze, trova distesa, nuda ed appena appagata, una donna. Una donna che non è lei, ovviamente, e che le impedirà d'ora in poi di poter solo appoggiarsi su quel giaciglio, senza sentirsi irrimediabilmente sporca. Linda, chiude gli occhi, li strizza bene, fa un respiro forte, deglutisce ciò che può, infila la chiave nella serratura, e con la lentezza dura e infinita delle sue paure, apre lo scrigno, spezzando ogni sua angoscia. Ora con la porta spalancata di fronte a sé, è sfinita per chiunque, ha già combattuto la sua guerra, e da caduta è lapide di fronte casa sua, quasi dentro. Vinta per i ladri, vinta per Fabio e la sua donna. Resuscita un passo e affaccia il volto stanco e straziato.Una suono cupo proviene dalla cucina, ancora. Questa volta più nitido, più chiaro. Una finestra sospirata dal vento. Nel vuoto. Nel silenzio.

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venerdì 30 marzo 2012

Un anno in Postribulo


Tutto è iniziato per caso. Come la vita impone, il vento, le burrasche e sopratutto i silenzi, che si susseguono sempre, fino a poter convivere.
Tutto è iniziato un anno fa, qualcosa di più a dire il vero.
Ho aperto un profilo su Tumblr, che in realtà conoscevo solo dal di fuori. L'esigenza intestina era quella di esprimermi nella maggior contrazione possibile. Poter danzare coi suoni delle parole, che valgono più di cento significati. Poter asciugare, concentrare, succhiare, liofilizzare i fiumi in pochi suoni.
L'ho chiamato Postribulo. Anche questo battesimo è avvenuto per caso. Credo che il caso, quello vero, quello che non ha nulla a che vedere con una sorta di destinazione o predestinazione, ma che sussurra senza la pesantezza dei discorsi e delle intenzioni che finiscono per dimenticare tutto e lasciarsi trapassare dalle parole, solo quel caso può diventare vento e trovare un senso continuamente.
In quei giorni, un illustre uomo politico italiano, chiamò ad una seguita trasmissione televisiva, apostrofandola come un "incredibile postribulo televisivo".
Quella parola, così desueta e al tempo stesso ripetuta più e più volte dai mezzi di informazione, ha finito per liberarsi dal peso del suo significato, ed ha conservato solo il suo suono, molto più casto e pungente.
Il senso poi, come sempre, insegue il suono, dopo il caso. Col tempo è tornata viva quella parola,   molto più di prima - La vita è un postribulo, le parole possono esserlo e Tumblr sicuramente lo è -
Il mio ritmo si è ritrovato a sopraffare il mezzo, che per quel ritmo è stato comunque meraviglioso. Libero dal reblog compulsivo, dal caos istantaneo, dal ricorrersi incessante di una dashboard. Tutto ancora per caso fu scalfito dall'inizio.

Un post al giorno.
Brevi composizioni di suoni.
In ossequio all'irrappresentabile.
Una metrica essenziale.
Scarno come un fiume.
Travolgente come un deserto.

È tutto lì, il testamento di Postribulo.
Giornalmente lasciare segni. Che i giorni non sono mai uguali a sé stessi. Le ispirazioni non si lascino adorare, anche la noia e la stanchezza, il vuoto e l'inutilità hanno il loro da dire o da non dire.
Contare le parole, contare i segni, contare i giorni, contare i passi, contarsi e contrarsi. Uno, due, tre, quattro, cinque, centodue, centodiciotto, duecentosessantanove, trecentoquindici. Trecentosessantacinque.

Non abbiate fede.
Che i numeri durino in eterno.
Nonostante siano infiniti.
Sono fatti per contare.
Arginare finire e colonizzare.
Ogni cosa.

Non può essere eterno un esperimento, non si può contare all'infinito, non può un giorno, vivere oltre l'anno. Non si può che finire a 365, ogni quattr'anni una piccola eccezione, niente più.

Si muore per poter resuscitare e dirsi, in qualche modo. Dirsi e dondolarsi dei sottofondi.
Si assumono nuove maschere, che non sono mai maschere ma parzialità su cui ci si adagia.
Si indossano cappelli per vanto o per nostalgia, baffi a protezione di ogni discorso.
Re suscito alla ricerca di un corpo.



(E ringrazio il mio pubblico che è stato parte dell'esperimento, la mia segreta assaggiatrice di bozze. Ringrazio i pornografi, le quindicenni ribelli, le casalinghe frustate (sic), le amanti del sadomaso, i feticisti delle merci, i fotofelinici, gli ermetici boccacceschi e  le casse armoniche da giardino; chi mi ha seguito con trasporto e chi è venuto a piedi, chi mi ha scovato, mi ha perso, ritrovato e poi abbandonato. Chi ha trovato musica in ogni parola, e per questo non posso che commuovermi.)


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venerdì 9 marzo 2012

Scansioni vitali


Non ricordo neanche come, da un giorno all'altro, mi ritrovai a scansionare faldoni di documenti. 
Ero rinchiuso in fondo, nel gabbiotto pausa caffè-fotocopie-sigarette. Ero spietatamente ligio nella ricerca dell'alienazione macchinosa da lavoro. Diventare automa, privarsi di intoppi, di intralci, rimodulare gli errori di sistema. Qualche sorrisino, occhi bassi, voce cauta, nessuna confidenza. Ho una mia idea riguardo al lavoro, o meglio un istinto naturale: il lavoro è svendere il proprio corpo e il proprio tempo, che lo prenda pure allora, ma avrà solo quello, niente confidenze niente sentimentalismi. Non sopporto quei rapporti in cattività.
In quella stanza era un via vai continuo che non avrebbe distratto il mio Stachanov implacabile. Lo dicevo sempre a chi potevo, fuori di lì - mai scegliere un lavoro che ti piace, finisce per penetrarti dentro e spolparti vivo, toglierti l'anima e farti ritrovare nudo - no, avranno il mio corpo, ma non la mia anima.
Gli odori si susseguivano frenetici, creme per il viso, calendule e cenere schiacciata, dopobarba, deodoranti acidi, maglioni acrilici sudati e subordinati, freddo e posacenere, chiacchiere femminili intrise di nicotina. Gobbe da scrivania, culi insormontabili e abnormi che certificavano le anzianità. Erano piante che inseguendo il sole finivano per contorcersi ovunque. Ma la luce era il lavoro, lo stesso a cui hanno svenduto il corpo, poi il tempo, poi una volta tornati a casa, una volta seppelliti nel letto, una volta rialzati alla mattina,una volta uccisa definitivamente l'anima, svendevano anche quel cadavere. Tosse automatica a gettoni.

Mentre il lavoro imbarbariva tutti, rendendo sopportabile il morire di attese.
Mentre le domeniche erano santificate alla pausa pranzo.
Ad un tempo terminato per poterlo cibare.
Ad una alienazione che ha bisogno di pause per potersi celebrare.
Di una cadenza, di una danza, di un'adunanza senza distanza.
Il tempo incalza, ruba gli attimi. Tempo in corsa sui premi produzione.
Una sveglia al mattino, timbro di vita, obliterata all'alba.

Bisognerebbe davvero essere immortali.
Per sprecare la propria vita, continuamente.

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venerdì 2 marzo 2012

Schedario


Sia al riparo il lunedì
Abbia fede il martedì
Navighi saldo il mercoledì
Ruggisca pure il giovedì
Non si illuda il venerdì
Si smarrisca il sabato
Preghi le angosce la domenica.

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domenica 26 febbraio 2012

I signori condomini sono pregati


San Gesualdo del primo piano
col suo vicino non sia villano.

Santa Pina della porta accanto
del suo zerbino non faccia vanto.

Sant'Odoacre del pian rialzato
non getti le cicche dopo mangiato.

Santa Barbara del piano terzo
spero che questo non sia uno scherzo.

Sant'Adelmo del pianerottolo
fuori i bisogni del nanerottolo.

Santissimi tutti dello Studio Associato
di notte c'è puzza di bruciato.

Santa Gina della scala B
sia più dolce il martedì.

San Gregorio del terrazzo
non si sporga, lei è pazzo!

Santa Giulietta del garage
sempre bella e così à la page.

San Pilinio della cantina
meno rutti alla mattina.

San Pancrazio amministratore
mai più avvisi in ascensore.

Santi illustri miei condomini
siate ligi e un po' più uomini.

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martedì 21 febbraio 2012

Maglione d'alghe


Le alghe che di notte si arrampicano sull'acqua, nell'acqua, tra i fondali e gli abissi, tra gli ammassi, scogli e sassi, si sciolgono fra le mani. Strano. Perché non parla un po' di te questa storia? Queste parole lanciate su un foglio e schiacciate da una penna sanguinante, che naviga da timone su questa lapide di carta. Di me ho dimenticato. Quell'io s'è perso fra queste pagine inutili. Poetica e libera l'inutilità, spiaggia per i vuoti e gli echi.
Questa storia parla di un bambino che ha rubato una mela alla sua compagna di banco, e di cui è segretamente innamorato. Parla del suo amore infantile per le mani infilate sotto gonne innocentissime. Parla dei turbati e dei turbamenti, prima ancora che la sessualità abbia avuto un tubo da cui eruttare. Parla di padri ricordati, partiti per guerre lontane. Parla di lettere scritte dal fronte, di gonne lunghe, di carrozze, di cavalli, di motori principianti, di borghesi con le terre ed i cilindri, di mamme tristi e stanche. Parla di musiche da grammofono, di trombe lontane che barriscono d'oltreoceano. Parla d'immagini che iniziano a muoversi su di un telo, a velocità accelerata come quella dei cannoni e musiche accompagnate nelle trincee di cinematografi. Parla di un tempo che sta morendo, di corone e di cavalli che lasciano lentamente il posto a cravatte ed automobili.  Parla di un imbuto di esplosioni che travolgono il mondo nella più grande delle guerre. Dalle steppe della Siberia ai campanili di Londra. Parla di Imperi che si disintegrano, di una vecchia pellicola che si brucia al sole, parla di rivoluzioni e di attese lunghissime, di carni da macello, di guerre inadeguate, di battaglie superate. Parla di cartine ridefinite, di planisferi da collezione. Parla dell'uomo e del suo tempo, del suo flusso e delle sue leggi. Parla di schiavi e di padroni, del loro mutare sotto la stessa ombra. Parla di terre scoperte e dimenticate, di abbandoni e ricongiungimenti, di vincite e di rivincite, di sconfitte e di ritorni. Di fughe, di invasioni, di predatori, di prede, di vittime, carnefici e muti. Parla di evoluzioni, rivoluzioni, risoluzioni, edizioni, e riedizioni. Parla di scimmie bipede, di anni, secoli ed ere. Parla di un pianeta che danza il suo valzer instancabile. Parla di stelle, galassie, universi, tempi fluidi e d'ogni cosa esistente e immaginabile, visibile e inventata. Parla dell'attimo in cui una mosca posa le sue zampe su di un escremento. Parla del granello di polvere soffiato via. Parla di atomi e di cromosomi. Parla d'amore e per questo di morte. Parla di un maglione infinito e invisibile. Dettagliato all'inverosimile che tesse grovigli fino al mai fine. Circolare in sé stesso e oltre. Parla di conti di fine anno, di un bambino timido, innamorato della sua compagna di banco, al centro o appena al lato, di mille orizzonti. 
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lunedì 16 gennaio 2012

Caro Assessore


Caro Assessore,

assessore caro, cosa mi combina? Non lo vede il guazzabuglio in questi fondali affollati di naufraghi? Mi sono giunte molte lettere indirizzate a lei in questo periodo, lettere di protesta e costernazione. Poi mi sono giunte sue lettere indirizzate a quelli che le avevano scritto lettere di protesta e costernazione, in cui difendeva il suo operato. Subito dopo mi sono state recapitate lettere di gente che invece la difendeva, per le scelte operate e la spronava a continuare per la giusta strada. Caro assessore, assessore caro, lei così garbato e ben ordinato, presente sulle prime pagine, ma anche sulle seconde e giù in fondo, fino alla cultura ed allo sport. Spero di vederla il più tardi possibile fra i necrologi, che se pur fosse, caro assessore, assessore caro, un assessore come lei, non può certo apparire morto fra tanti altri, fra i Tal Quale o Fra Qualunque, fra coloro che le hanno scritto lettere e coloro che le hanno da lei ricevute. No caro assessore, assessore caro, lei sicuramente apparirebbe in prima pagina, con tanto di comune costernazione, biogrfia della sua lunga carriera, del suo brillante operato, illuminato dai ricordi dei cari e dei suoi consimili; cari assessori e assessori cari come lei, che ricorderanno il suo buon cuore, anche quando operò così deciso, da far infuriare i fruttivendoli o gli apicoltori, gli ambientalisti ed i benzinai, collezionando lettere di protesta dei parcheggiatori ed il plauso caloroso dei commercianti d'abbigliamento intimo. Ma bando a tutto ciò caro assessore, assessore caro, che non son questi temi per chi ruggisce come lei, nonostante i leoni debbano costruirsi in vita i propri mausolei; lei caro assessore, assessore caro meriterebbe ora ben più alti appellativi che non questi lugubri pensieri, ed allora lunga vita a lei caro assessore, assessore caro. Mi premeva però con questa mia missiva caro assessore, assessore caro, a lei indirizzata, che come tutte le missive in questo groviglio dantesco, finiranno nelle mani, o nelle menti, dei suoi scrittori detrattori nonché dei suoi scrittori sostenitori, che io sono ben stanco di ricevere lettere che non mi riguardano e che al contrario riguardano lei caro assessore, assessore caro, nel bene e nel male solo lei, illustrissimo. Capisce il senso della mia frustrazione, lei che sarà stato egualmente frustrato un tempo, per scegliere di diventare assessore. Capisce il mio spaesamento nel ricevere tutta questa corrispondenza non corrisposta. Mi dirà caro assessore, assessore caro, che lo si fa per il mio bene, per i miei diritti, per il mio sacrosanto diritto all'informazione, ad informarmi di tutto ciò che la riguarda, caro assessore, assessore caro. Affinché possa anch'io un giorno o quest'oggi stesso, ergermi a giudice del suo operato, come in una democrazia compiuta, maggiorenne ed affiatata, si conviene. Lo so, caro assessore, assessore caro, ma per un attimo, solo per un momento, capirà lei e tutti i suoi scrivani, scriventi e telescriventi, i suoi detrattori, i suoi trattori e i suoi pusillanimi, i suoi sostenitori, e i suoi tenori, le agenzie stampa, turistiche e parastatali, il mio sconforto giornaliero, di tutta questa comunicazione escludente, per me. Come può il mio animo fragile, sopportale lettere su lettere, petizioni su petizioni, corsivi su corsivi, commenti su commenti, in cui io sia totalmente escluso, il cui il soggetto è solo lei, caro assessore, assessore caro o i suoi scriventi di ogni risma. Mi si dirà, già lo so, assessore caro, caro assessore, che io sono fra virgolette, sottinteso nella corrispondenza, sono il soggetto soggiacente del popolo scrivente, sono la pubblica opinione che non appare firmata, ma è lì nei sostantivi generalizzanti, senza generalizzare. Sono trapassato da ogni lettera firmata in calce per me. Ma caro assessore, assessore caro, non so che farmene di tutto questo, io mi sento assente in quei luoghi disadorni e totali. Potrebbe lei caro assessore, assessore caro, invitarmi a fuggire da quelle sigle, facendomi io stesso scrivente, commentatore e attore di senso nei suoi confronti, ma assessore caro, caro assessore, non ne ho voglia, non ne ho la minima voglia e non è pigrizia caro assessore, assessore caro, non è indifferenza o menefreghismo, è che se pur lo facessi, mio caro assessore, assessore caro, sarei ugualmente escluso da quella missiva, sarei ancora ingabbiato in popoli e firme, in gruppi ed opinioni, e per una volta su di lei, caro assessore, assessore caro, sulle sue posizioni e sulle sue opposizioni, non voglio aver voce in capitolo. Mi basterebbe da parte sua, o dei suoi amanuensi, una lettera a me indirizzata. No, non di quelle prestampate con il nome che cambia volta per volta, caro Gigi Remigi, caro Carlo D'Amarlo, caro Anselmo Tinsegno, caro Teodoro Matescanso...e giu notizie che non mi riguardano e certo non potrebbero, se riguardano tutta questa gente. No caro assessore, assessore caro, vorrei per una volta una lettera tutta per me, unica e induplicabile. Che mi chieda sul mio stato d'animo, su come va quell'affare, su cosa bevo a colazione, su chi frequento ultimamente, se ho poi finito quel tal tomo, o se son ancora provetto ciclista. Le sarei grato caro assessore, assessore caro, se lei potesse, o se non lei qualcun altro, i suoi innumerevoli mittenti e destinatari magari, inviarmi anche solo una frase diretta al sottoscritto, io che non sottoscriverei la sua candidatura, ma apprezzerei così la sua tenera natura. Potrei anche pensare di abbandonare questo isolamento, se voialtri pensaste ai soggetti per un momento.

Suo per ora
Marto Martini
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